Dopo il mancato accordo sulla procedura di licenziamento collettivo, arriva lo stato di agitazione. Lo hanno indetto Filcams Cgil, Fisascat Cisl e Uiltucs Uil per i 588 dipendenti italiani della multinazionale statunitense Salesforce, che il 4 gennaio scorso ha annunciato 34 licenziamenti (poi ridotti a 26) nelle sedi di Milano e Roma.

Malgrado le ottime performance economiche, a inizio anno la big tech ha dichiarato la riduzione della forza lavoro in tutto il mondo di circa il 10%. Una decisione avversata dai sindacati, che nei tre incontri che si sono susseguiti con la direzione aziendale hanno provato a modificare. Ma l’atteggiamento di chiusura della big company, e le proposte di accordo giudicate “insufficienti” dai sindacati, hanno portato alla proclamazione dello stato di agitazione.

Chi è Salesforce

È un'impresa statunitense, con sede a San Francisco (California), leader mondiale nei settori del cloud computing e servizi digitali. Fondata nel 1999 e quotata alla Borsa di New York dal 2004, Salesforce opera in 36 Paesi e ha 73 mila dipendenti. Nel mondo sono 150 mila le aziende che utilizzano i suoi software.

“I nostri clienti stanno adottando un approccio più misurato alle loro decisioni di acquisto”, ha scritto l’amministratore delegato Marc Benioff in una lettera ai dipendenti: “Poiché le nostre entrate sono aumentate durante la pandemia, abbiamo assunto troppe persone che hanno portato a questa recessione economica che stiamo affrontando, di cui mi assumo la responsabilità”.

Salesforce è comunque in salute. Il terzo trimestre fiscale 2022 (terminato negli Stati Uniti il 31 ottobre scorso) si è chiuso con ricavi pari a 7,84 miliardi di dollari, in aumento del 14% rispetto all'anno precedente. La società si attende di chiudere l’anno fiscale con introiti pari a 31 miliardi (il 17% in più sul 2021) e un utile rettificato annuo per azione compreso tra 4,92 e 4,94 dollari per l'intero anno (rispetto ai 4,71-4,73 dollari previsti).

La posizione dei sindacati

La trattativa tra azienda e sindacati si è di fatto interrotta. Gli esuberi, per effetto di una ricollocazione interna, si sono ridotti di otto unità, passando quindi da 34 a 26. Ma i licenziamenti sono stati confermati, e non sembrano esserci possibilità di ripensamento.

La proposta della Salesforce si è finora sostanziata in un incentivo all’esodo. L’indicazione formalizzata dalla società è un pacchetto, basato sull’anzianità di servizio, che va da quattro a 12 mensilità, più un servizio di outplacement per sei mesi.

“La proposta sull’incentivo all’esodo presentata dalla direzione societaria – commentano i sindacati – non soddisfa le condizioni minime previste anche nel caso di licenziamento illegittimo, peraltro di gran lunga inferiore a quanto si sta delineando nei tavoli aperti negli altri Paesi europei”.

La multinazionale, inoltre, si è dichiarata “ancora una volta indisponibile al ricorso agli ammortizzatori sociali, sollecitato a più riprese dai sindacati, così come sul prolungamento del periodo della fase di confronto sindacale funzionale a individuare ulteriori opportunità di ricollocamento interno”.

I sindacati, dunque, rilevano che “le iniziali preoccupazioni sono diventate un dato di fatto: l’azienda a oggi non ha presentato effettive soluzioni a salvaguardia dell'occupazione e delle retribuzioni dei lavoratori e delle lavoratrici”.

Per le tre sigle “Salesforce promette azioni che vedono poi scarse traduzioni pratiche, buoni intenti che sono però accompagnati da un atteggiamento di forte chiusura che manifesta l’evidente volontà di portare a termine i licenziamenti senza tutele adeguate”.

Le organizzazioni sindacali, in conclusione, rifiutano “il ‘sacrificio umano’ richiesto col solo fine di alzare margini già positivi e rinsaldare il prezzo delle azioni per compiacere alcuni fondi d'investimento”. E proclamano lo stato di agitazione, in attesa di valutare “la nuova fase della procedura che si attiverà con il ministero del Lavoro”.