La Lyondell Basell chiude uno dei due impianti attivi (denominato P9T) nello stabilimento di Brindisi. È stata la stessa società operante nel settore chimico ad annunciarlo dopo l’incontro con le parti sociali di martedì 5 settembre. Per i sindacati è un fatto grave, che potrebbe innescare pericolose reazioni a catena in tutto il polo pugliese. Cgil e Cisl rilanciano sull’importanza di preservare e rilanciare il distretto industriale, centrale per la tenuta del territorio.

Le motivazioni dell’azienda

Alla base della decisione di chiudere ci sono le difficoltà congiunturali del polo chimico brindisino. Secondo i vertici dell’azienda, i macchinari dell’impianto sono obsoleti e non garantiscono competitività. “Il mercato di riferimento per i prodotti realizzati dall’impianto di Brindisi è sempre più difficile, con una prospettiva di miglioramento molto scarsa” ha affermato Jim Guilfoyle, senior vice president di Lyondell Basell. Il gruppo ha quindi deciso di puntare su siti produttivi e mercati più profittevoli.

Le conseguenze per i 135 dipendenti rischiano di essere molto pesanti. Sono infatti 47 i lavoratori in esubero, mentre per gli altri si attende la proposta di trasferimento nel polo produttivo di Ferrara. Nessuna prospettiva invece per i lavoratori in somministrazione. L’azienda ha poi promesso di farsi carico delle spese necessarie fino al raggiungimento dell’età pensionabile per i dipendenti prossimi a tale soglia.

La posizione della Cgil

“La chiusura del polo chimico rischia di diventare una bomba sociale e di produrre un effetto domino che coinvolge l’intero comparto industriale regionale”, commenta Antonio Macchia, segretario generale Cgil Brindisi. Osservato speciale è il secondo impianto Basell di Brindisi; si teme infatti che in pochi anni la stessa sorte possa toccare anche a questo sito.

“Il pericolo – prosegue Macchia – è che il cosiddetto phase out e la decarbonizzazione, che riguarderà anche la centrale Enel Federico II dal 2025, penalizzino un territorio già in difficoltà”. D’altra parte, continua il segretario generale, le proposte avanzate dal sindacato “sul tema delle rinnovabili non hanno incontrato l’approvazione e il finanziamento da parte del governo”.

La prima risposta del sindacato è stata la convocazione di un’assemblea dei lavoratori, che si è tenuta mercoledì 6 settembre, cui seguirà lo sciopero di quattro ore (per ogni turno) in calendario per venerdì 8. Indetto anche lo stato di agitazione, con il blocco delle prestazioni straordinarie in tutti gli stabilimenti italiani della multinazionale olandese.

“L'annunciata chiusura del P9T è solo l'ultimo di una serie di ingiustificabili fallimenti", conclude Macchia: "Sarà una lunga e dura vertenza. Il nostro obiettivo è garantire la continuità produttiva dello stabilimento”.  Previsto, infine, anche un incontro con il prefetto di Brindisi (ma la data è da definire), per ottenere l’apertura di un tavolo di trattativa con il ministero.