L’attacco a testa bassa del ministro Di Maio contro una “piccola” associazione come Alpaa è un fatto inedito che non si era mai visto prima, in altre epoche, e contraddistingue l’attuale compagine governativa sul versante “forte coi deboli debole coi forti”. Mirando però l’obiettivo finale: la Cgil.

Come altro si spiega altrimenti il nostro coinvolgimento – considerato evidentemente l’anello debole del sistema – in una vicenda assurda e paradossale che parte dalla scelta di un “inviato” di individuare proprio nella sede di Palermo, dove Alpaa detiene in affitto un proprio immobile, ben distinto dagli altri in cui vengono svolte differenti attività di servizio, tra cui il Caf, la “vittima” predestinata cui attribuire la responsabilità sui futuri esiti di una legge intrigante e intricata da essere facilmente raggirata anche senza illuminate consulenze.

Un inviato che senza fare alcuna distinzione entra nel Caf, al pianterreno, credendo erroneamente (?) di parlare con Alpaa, la cui sede invece è al primo piano dello stesso immobile. E con domande duttili induce il malcapitato, che non è dipendente di Alpaa, a fornire risposte assolutamente inadeguate, stante la funzione che ricopre. La Cgil, la Flai e Alpaa sono storicamente riconosciute per serietà, competenza, onestà e lotte a favore dei più deboli: una storia centenaria che non può essere scalfita da una pantomima organizzata a arte ma riuscita male, fino a confondere luoghi e ruoli dei protagonisti.

Una cosa è certa: diversamente dalle affermazioni apodittiche quanto incaute e bugiarde del ministro, Alpaa non ha alcuna responsabilità diretta o indiretta su quanto accaduto. E oggi, abbiamo fornito alla Guardia di Finanza documentazione e informazioni utili per dimostrare la nostra totale estraneità ai fatti riportati dal programma televisivo “Non è L’arena”, di La7, e commentati dal ministro con pesanti accuse rivolte all’ Alpaa.

Ci auguriamo, e chiediamo con forza, che gli accertamenti esperiti con formidabile tempestività dalla Guardia di Finanza presso la nostra sede di Palermo, su esplicita sollecitazione del ministro Di Maio, inducano la direzione della trasmissione televisiva a rettificare la descrizione dei fatti e il ministro a chiederci scusa per la gravità delle accuse infondate che ci ha indirizzato, sollecitando peraltro lo squallidume che si riversa sui social.

Da parte nostra restiamo convinti che se le leggi, come quella sul reddito di cittadinanza, si prestano a facili raggiri grazie ai buchi normativi che consentono a chiunque (tranne che a un giornalista finto disoccupato con telecamera nascosta, bisognevole di “consulenza”) di superarli facilmente, la responsabilità è da attribuire, più che ai “consulenti”, all’incapacità e all’approssimazione del governo che quella legge ha disposto.

Gino Rotella è presidente Alpaa