Si muore sul lavoro come cinquant’anni fa. Muoiono tre persone al giorno, una regola che in Italia non fa sconti. Tutto diventa killer nei titoli dei giornali, quando se ne parla. Cantiere killer, trattore killer, fibra killer, come se fossero oggetti o luoghi a uccidere, non leggi e investimenti. Una versione di comodo, buona per le lacrime di coccodrillo di decine di governi sempre distratti su questo fronte. Diciamocelo, il fronte non è mai esistito. Nessuno, a palazzo Chigi o nelle stanze dei ministeri ha mai pensato veramente di scavare una trincea che mettesse al sicuro l’esercito di lavoratori che ogni giorno rischia in prima persona. Perché non sai mai per chi suona la campana. Non è l’assenza di regole, che quelle ci sono, ce ne sono persino troppe dicono gli esperti.

Quando il rogo della Thyssen suonò la sveglia portandosi via sette operai orrendamente bruciati dalle fiamme dell’inferno siderurgico alimentato dall’olio bollente, mani sapienti si misero a scrivere un corpo normativo che purtroppo, in molte parti è rimasto lettera morta. E poi hai voglia a scriver leggi se gli ispettori sono una manciata per ogni regione, senza mezzi, trafelati da un cantiere all’altro, da una fabbrica all’altra, a tirare una coperta che lascia sempre fuori troppi corpi, esposti al rischio. Se molti imprenditori continuano a considerare un costo il rispetto delle norme sulla salute e sulla sicurezza dei loro dipendenti. Dalle catene degli appalti, che lasciano soli gli ultimi anelli, ai cantieri edili, alle linee di produzione, ai muletti e ai trattori che si ribaltano, agli uomini vestiti di giallo fosforescente sul ciglio di un’autostrada, finché non passa un guidatore distratto e se li porta via, in anni e anni di scarni lanci di agenzia lo abbiamo letto e riletto fino a stancarci l’assurdo romanzo dei morti sul lavoro, che ogni giorno tira fuori un capitolo identico a quello del giorno precedente. Persino nell’anno del Covid, in cui pure tanto si è scritto e detto per mettere al sicuro i lavoratori dal contagio. Persino nell’anno dello smart working diffuso, nei soliti luoghi il bollettino delle morti sul lavoro ha visto scorrere il contatore con lo stesso ritmo di sempre…tre più tre più tre…

Ogni tanto l’opinione pubblica batte un colpo. CI vuole tutto il cinismo del riflettore che illumina una ragazza di 22 anni, come Luana, orrendamente stritolata da un macchinario tessile a Prato perché la grata di sicurezza, sembra rimossa, rallentava la produzione. Bella e madre, giovanissima, piena di sogni. Un po’ della sua luce e della commozione che trasmette riesce a brillare su storie come quella dell’operaio 49enne Christian, pressato da un tornio a Varese, o dell’edile di questa mattina, schiacciato da un peso caduto dall’alto in un cantiere in provincia di Bergamo, che altrimenti sarebbero morti senza lasciare traccia sulle breaking news.

Poi, finito il rush di questa settimana, con lo sciopero generale di Prato, domani, la protesta di Varese, e quella appena annunciata a Bergamo, tutto tornerà come prima. La conta andrà avanti, nel silenzio dei media. La politica, forse, tirerà un sospiro di sollievo. E i vivi continueranno a vegliarli solo i sindacati, in piedi sul fronte senza trincee, mentre un tavolo sulla sicurezza a breve è stato annunciato dai ministri di Lavoro e Salute, Orlando e Speranza. La politica batta un colpo, perché senza di lei questa battaglia non si potrà mai vincere.