È durata pochi minuti stamani (mercoledì 19 novembre) l’assemblea dei dipendenti dell’ex Ilva a Genova, scesi in sciopero contro il piano del governo per il gruppo siderurgico. I lavoratori hanno occupato lo stabilimento per protestare “contro il blocco degli impianti del Nord e il piano che prevede l’aumento della cassa integrazione straordinaria fino a 6 mila unità”.

Dopo l'assemblea davanti ai cancelli della fabbrica, gli operai si sono diretti in corteo verso le vie del quartiere con mezzi da cantiere. Via Cornigliano e piazza Savio sono totalmente chiuse al traffico, mentre la strada Guido Rossa è chiusa in direzione Ponente. Il corteo è arrivato nella piazza antistante la stazione ferroviaria di Genova Cornigliano, dove hanno posizionato i mezzi e montato un gazebo per un presidio a oltranza

“Il piano del governo porta alla chiusura della fabbrica, con la conseguenza che a Genova abbiamo mille posti di lavoro a rischio”, dicono Stefano Bonazzi (segretario generale Fiom Cgil Genova) e Armando Palombo (storico delegato Fiom Cgil): “Mille famiglie rischiano di perdere il loro sostentamento, nonché la fine della siderurgia nella nostra città e nel Paese”.

Bonazzi e Palombo rilevano che “dal primo gennaio saranno in 6 mila a livello nazionale a trovarsi in cassa integrazione, mentre dal primo marzo chiuderanno tutti gli impianti. Chiediamo alle istituzioni locali di non stare in silenzio e di adoperarsi per contrastare la decisione del governo e impedire la chiusura di Cornigliano”.

“Il quadro della situazione è molto semplice: con la conferma dell’annuncio del governo si produce poco acciaio a Taranto, e quel poco che si produce si vende subito a Taranto per fare cassa”, dichiara il coordinatore Rsu Fiom Cgil Nicola Apicella: “Ovviamente gli stabilimenti del Nord, Genova in primis, poi Novi Ligure e altri, non avranno più prodotto da lavorare e quindi chiuderanno. Vuol dire che a Genova si perdono mille posti di lavoro”.

Apicella chiede agli enti locali, al Comune di Genova e alla Regione Liguria “di sospendere ogni attività come segno di solidarietà e di cominciare a trovare soluzioni serie per i mille posti di lavoro a rischio. Non è più un problema di un cassintegrato in più o in meno, qui si chiude la siderurgia italiana”.