Da giorni si discute dell’ondata di caldo che sta investendo il Paese e dei rischi per la salute. La Regione Lombardia ha emanato un’ordinanza per tutelare i lavoratori che operano all’aperto. Ma come è pericoloso lavorare sotto il sole, non meno rischioso è faticare in un capannone con il termometro che supera i 36,5 gradi, come sta accadendo alla Emmegi di Cassano d’Adda (Milano).

Con un paradosso: Emmegi (recita il sito della società) è un’azienda italiana che produce scambiatori di calore, leader nel settore oleodinamico dello scambio termico. “La refrigerazione nel capannone produttivo – spiega la Fiom Cgil milanese – è a dir poco insufficiente, e per chiedere di non svenire dal caldo i lavoratori sono stati costretti a effettuare già otto ore di sciopero”.

La Fiom sottolinea anche che l’azienda, anziché “investire per sanare una situazione fisicamente insostenibile, ha deciso di chiamare, e pagare, un consulente per verificare se a 36,5 gradi faccia caldo oppure no”. Anche oggi (mercoledì 2 luglio) i circa 90 lavoratori di Emmegi hanno scioperato e presidiato i cancelli dell’azienda per rivendicare adeguate condizioni di lavoro.

“È inaccettabile – commenta Andrea Rosafalco (Fiom Cgil Milano) – che le persone siano costrette a scioperare per lavorare senza rischi per la salute e in sicurezza. Ed è inconcepibile che il gruppo dirigente aziendale rifiuti un confronto serio. È chiaro che in queste condizioni non è possibile lavorare: se non si risolverà il problema, saremo costretti a proseguire la mobilitazione”.