Ancora una brutta notizia per i dipendenti pubblici. L’Inps, con il messaggio (n. 1628) del 25 aprile scorso, ha informato i lavoratori del blocco delle domande di anticipazione ordinaria di Tfs (trattamento di fine servizio) e Tfr (Trattamento di fine rapporto) in favore degli iscritti alla gestione unitaria delle prestazioni creditizie e sociali. “Era prevedibile”, dichiarano Cgil e le categorie Fp, Flc e Spi: “Le risorse accantonate non potevano essere sufficienti per garantire tutti e tutte. Pertanto, a partire dal 25 aprile scorso, è stata inibita la presentazione di nuove domande”.

È bene ricordare che l’anticipo consentiva agli iscritti al Fondo credito, pensionati o che avevano cessato il rapporto di lavoro, di richiedere a condizioni agevolate (1% più lo 0,50% di spese di amministrazione) l’anticipazione di tutto o di parte del Tfs e Tfr maturato. Uno strumento utile, soprattutto in una fase come questa di forte inflazione, ma che la Cgil non ha mai considerato come la soluzione del problema sui tempi di liquidazione di Tfs e Tfr.

Come noto, i dipendenti pubblici, una volta cessato il rapporto di lavoro con la propria amministrazione, a differenza di un lavoratore del settore privato non ottengono l’erogazione di Tfs e Tfr in tempi brevi, ma l’attesa può addirittura arrivare a sei o sette anni.

Adesso, dopo il messaggio Inps del 25 aprile, verrà meno per le lavoratrici e i lavoratori pubblici l'unica opzione a disposizione per ottenere il Tfs e il Tfr in tempi brevi. Opzione che era comunque gravata da un costo aggiuntivo, nel paradosso di dover pagare per entrare in possesso dei propri soldi.

Una beffa per molti pensionati che avevano deciso di mantenere l’iscrizione al Fondo credito con l’unico intento di ricevere tale anticipo, e che ora dovranno pagare per sempre l’iscrizione sulla pensione, con un costo medio di 40 euro all’anno.

“Il governo, nonostante gli impegni assunti, non è assolutamente intervenuto in questi mesi”, proseguono Cgil e categorie: “A breve, inoltre, sarà trascorso un anno dalla sentenza n. 130 della Corte costituzionale, risalente al 23 giugno 2023, che aveva con grande nettezza dichiarato questo differimento anticostituzionale”.

L’esecutivo non vuole affrontare questo tema e dopo i tanti slogan e promesse sulle pensioni decide di proseguire sulla strada intrapresa da tempo, andando contro le lavoratrici e i lavoratori pubblici.

Eppure la Consulta era stata molto chiara, indicando che tale differimento contrasta con il principio della giusta retribuzione contenuto nell'art. 36 della Costituzione che recita: “Il lavoratore ha diritto a una retribuzione proporzionata alla qualità e quantità del suo lavoro, e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla sua famiglia un’esistenza libera e dignitosa”.

“Si tratta di appropriazione indebita”, conclude il sindacato di corso d’Italia: “Siamo pronti a contrastare in ogni modo le scelte sbagliate di questo governo, anche per quanto riguarda le misure previdenziali. Lo faremo partendo dal contenzioso sulla revisione delle aliquote di rendimento sulle pensioni dei pubblici dipendenti e anche sul differimento del pagamento di Tfs e Tfr”.