Le nuove norme sull'equo compenso sono state approvate dalla Camera senza modifiche e attendono l'ok definitivo del Senato, ma i sindacati non si arrendono nel chiedere modifiche e incontri con il governo per cambiare una legge che non convince.

Il provvedimento parla di un compenso economico adeguato che viene erogato al professionista in modo proporzionato alle prestazioni e al lavoro svolto per i committenti come la Pubblica amministrazione, le banche e le assicurazioni e viene stabilita la soglia minima al di sotto della quale non si può andare. Il testo è il medesimo messo a punto nella precedente legislatura.

I punti critici

Per Federica Cochi, presidente di Apiqa (Associazione quadri professionisti e alte professionalità legata alla Cgil), "i problemi sono tre. Il primo è quello della platea dei beneficiari della legge: è ancora troppo ristretta, perché fa riferimento a chi lavora per i grandi committenti e anche le soglie non vanno bene. In questo modo infatti si allarga il divario tra professioni ordinistiche e non, con meno diritti per i lavoratori professionisti autonomi non iscritti agli ordini".

Il secondo problema riguarda le sanzioni, che colpiscono particolarmente i professionisti: "Loro - prosegue Cochi - sono la parte più debole nel confronto con i committenti interessai dalla legge. Se non accettano il compenso sotto soglia non sono agevolati alla denuncia perché vengono essi stessi sanzionati".   

Dello stesso parere anche Silvia Simoncini, della segreteria del Nidil Cgil, per la quale “siamo di fronte a un paradosso, perché la contrattazione uno a uno rende già debole di per sé il lavoratore, molto più di quanto si immagini”. 

"Infine - il terzo punto critico per Apiqa - non è previsto che siedano allo stesso tavolo tutti gli organismi di rappresentanza dei lavoratori, quindi degli autonomi. Si riduce così la portata di partecipazione, come la nostra con Cgil, Cisl e Uil".

La richiesta al governo

Per Cochi la legge è quindi completamente da rifare, come proponeva Apiqa chiedendo al governo di ascoltare le richieste dei professionisti autonomi non ordinistici e di tutte le organizzazioni: "Ma noi opporremo tutti nostri sforzi e nelle future convocazioni continueremo a battere anche su questo tasto, anche perché al di là della forma di contratto il tema è la tutela dei diritti della persona”.

L'arma dello sciopero è difficilmente applicabile a fronte della frammentazione delle singole situazioni, quindi gli strumenti per opporsi alla norma dell'equo compenso come elaborata nel testo all'esame del Senato consistono nel fare rete, nel fare fronte comune per mostrare una forza collettiva, puntando sui molti punti in comune tra le diverse organizzazioni e associazioni sindacali.  

"Fare fronte comune - conferma Simoncini - è difficile ma non impossibile, perché in potenza c’è lo spazio per mettere in campo azioni di tutela e autotutela, Tutto passa per la messa in rete di esigenze e rivendicazioni, delle quali tutti abbiamo deciso di farci carico, anche per il raggiunto grado di consapevolezza. In questo il grande trampolino di lancio è costituito dalla Carta dei diritti universali (la proposta di leggedi iniziativa popolare per la riscrittura del diritto del lavoro depositata alla Camera nel 2016, ndr), che sposta l'oggetto dalla forma contrattuale al lavoratore".

Serve una riforma

Il Nidil sottolinea allora la necessità di una riforma del mercato del lavoro che sia complessiva, "per evitare i provvedimenti spot che danno una risposta, spesso non esaustiva, al singolo, escludendo altri soggetti e una visione globale".  

Anche l'Istat ha certificato che nel mercato del lavoro gli autonomi sono in continua crescita e, tra questi, sono sempre più coloro che hanno la consapevolezza delle tutele alle quali hanno diritto. "Abbiamo fatto un'inchiesta nazionale sui professionisti autonomi - ci racconta Cochi -, che pubblicheremo a breve e nella quale abbiamo chiesto della loro situazione durante la pandemia e dopo, quali sono le esigenze e cosa vogliono da noi. Ebbene, ci chiedono risposte collettive in termini di tutele sociali (malattia, maternità, infortuni) e di spingere su di un equo compenso che sia davvero tale. A questo dobbiamo perciò rispondere".

Ci sono infine altre due questioni. Quella dei giovani è toccata dalle parole di Federica Cochi: "Abbiamo sempre più risposte anche dalle lavoratrici e dai lavoratori tra i 30 e i 40 anni ed emerge l'esigenza di tutela, ma non di trasformazione in contratti da dipendenti, perché vogliono rimanere autonomi e questo ci rende consapevoli dell'esperienza e della trasformazione di vita e di cultura degli ultimi decenni."

L'altra la sottolinea Silvia Simoncini: "Sui lavoratori autonomi cade un pezzo di rischio d'impresa che deve essere pagato, lo stesso discorso he vale per la flessibilità. Ed è anche per questo che, quando si apre uno spiraglio di trattativa, dobbiamo cercare di contare di più".