Quello della Treofan è sotto molti aspetti un caso di scuola per quanto riguarda lo strapotere delle multinazionali e il loro atteggiamento “predatorio” nei confronti del territorio. Il punto di arrivo è ben rappresentato dal silenzio assordante di un capannone industriale dove fino ad alcuni mesi fa il rumore delle produzioni non consentiva nemmeno di parlare al collega vicino. Da quello stabilimento, fulcro del polo chimico ternano, usciva il polipropilene, quel materiale rivoluzionario che proprio a Terni fu scoperto dal premio Nobel per la chimica Giulio Natta e poi portato in tutto il mondo. 

Per arrivare al silenzio della fabbrica, che coincide anche con la messa in cassa integrazione di oltre 200 lavoratori, ci sono voluti appena 3 anni. Nell'agosto 2018 la multinazionale indiana Jindal ha acquisito il gruppo Treofan, che in Italia aveva due stabilimenti produttivi, Battipaglia e Terni. Il primo, un’ottantina di posti di lavoro, ha avuto pochi mesi di vita: sostanzialmente fermato già a dicembre 2018, non è mai più ripartito. Per Terni invece le cose sono andate più per le lunghe. Lo stabilimento è sempre andato sostanzialmente bene, con un notevole parco clienti, che è probabilmente proprio quello che a un “concorrente" come Jindal faceva più gola. E non a caso il sospetto di un’operazione sporca, finalizzata appunto ad eliminare un concorrente di mercato, acquistandolo, è stata sin da subito paventata dai sindacati, Filctem Cgil in testa. A tre anni di distanza quei sospetti si sono trasformati in uno stabilimento chiuso. 

Ora l’unica opzione possibile è la riconversione, perché andandosene Jindal - che in Italia ha ricevuto anche fondi pubblici - ha persino preteso che nello stabilimento ternano non si possano più fare le stesse produzioni. Intanto, la cassa integrazione per 127 famiglie scadrà a febbraio. 

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