“Il clima non è buono, tutti sono preoccupati, soprattutto i lavoratori dell’indotto, quelli che hanno pagato il prezzo più alto e hanno visto i licenziamenti in questi anni. Chi è rimasto ha tutte le antenne dritte. Se non arrivano produzioni le aziende rischiano di non avere un futuro”.
Non ha rischiarato i cieli neri e l’incertezza di questi anni l’incontro di giovedì pomeriggio a Mirafiori, tra i vertici di Stellantis e i sindacati. Lo dice con amarezza il segretario generale Fiom di Torino, Edi Lazzi. Nella città che fu dell’auto, da tempo diventata una palude del lavoro per gli operai dell’automotive, impantanati in una cassa integrazione perenne, senza un piano serio la crisi non finirà.
Ci vuole una sutura e ci vuole in fretta se si vuole arrestare l’emorragia occupazionale. Parlano chiaro i numeri presentati proprio dalla Fiom un paio di mesi fa. Dal 2008 al 2020 sono andati in fumo oltre 32 mila posti di lavoro nel comparto industriale. Parliamo del 27% degli occupati. Il 57 per cento è proprio nell'automotive e, di questi, l’83% nell'indotto e il 17% dipendente direttamente da Fca.
In questi stessi 12 anni, la produzione di auto è crollata dell’83%. Dalle 209 mila vetture del 2008 alle 36 mila dello scorso anno. 

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Numeri che chiedono risposte immediate, se il nuovo gruppo, Stellantis, a queste latitudini vuole avere un briciolo di credibilità. Quello che spaventa, sottolinea Edi Lazzi, “è che l’Italia non sta facendo nulla. Francia e Germania hanno un’idea di conservazione dell’industria dell’auto, Draghi, invece, non sembra avere un piano o, se ce l’ha, non l’ha comunicato a nessuno”. 
In questo quadro è scontato che Stellantis sia più sensibile alla Francia. “Se Tavares, l’amministratore delegato del gruppo, dovesse fare una scelta su quale stabilimento saturare, tra uno dei nostri e uno di quelli oltre le Alpi, ad oggi opterebbe senz’altro par valorizzare quello francese. Siamo preoccupati e tra i lavoratori serpeggia sconforto e sfiducia”.

Cosa serve intanto? “Che ci dicano qualcosa di concreto, che ci diano un piano. Quello che serve è sentire da parte del gruppo con esattezza per ogni stabilimento italiano, soprattutto a Torino, la città che ha sofferto di più in questi anni, quale sarà la missione produttiva. Che, per fare un esempio, in un anno si programmi la produzione a Mirafiori di due modelli che facciano, sulla carta, tot volumi. Che ci siano contatti con le aziende dell’indotto sui pezzi da commissionare loro”. E invece? “E invece abbiamo avuto solo generiche rassicurazioni. Ci mancava solo che, arrivando per la prima volta in città, annunciassero di voler chiudere tutto”. È una battuta, quella di Edi Lazzi, ma racconta bene la delusione generata dal primo approccio. Neanche un dubbio è stato sciolto.

“Torino è una città in sofferenza, che ha perso tantissimi posti di lavoro. È una città accartocciata su se stessa, messa in ulteriore difficoltà dalla crisi sanitaria. Servirebbe un rilancio per trascinare tutto il resto. Lo si dice troppo poco: qui la crisi si è avvitata perché il crollo dell’industria dell’auto ha portato a fondo con se interi settori. Faccio un esempio. Sono a conoscenza della situazione di un’azienda di pubblicità che faceva l’80 per cento del fatturato con Fca, tra brochure, pubblicità e il resto. Adesso Stellantis le ha chiesto uno sconto incredibile e sono preoccupatissimi perché, accontentandoli, non potrebbero reggere, avrebbero dei margini troppo risicati. E poi, diciamolo, anche rispetto al dibattito attuale sui colori e sulle riaperture, qui con una marea di gente in cassa integrazione, anche se domani riaprissero i ristoranti, sarebbero in pochi quelli che avrebbero la possibilità di andarci”.

Cosa c’è in calendario dopo questo primo tavolo? “Nella seconda metà del mese di maggio forse ci sarà un altro incontro, ma perché sia veramente utile dovranno entrare nel dettaglio delle cose concrete. Altrimenti sarà un altro passaggio a vuoto. Fondamentale resta il ruolo del governo, che deve avere un piano complessivo, deve difendere l’auto, deve programmare quante risorse del Recovery Fund investire nel settore e a quale scopo”.