Sul Giornale del 24 ottobre 1980 Montanelli scriveva di aver saputo, undici anni prima, cioè subito dopo la strage di Piazza Fontana, che Pinelli, informatore della polizia, aveva confidato al commissario Calabresi il fatto che gli anarchici stavano preparando “qualcosa di grosso”. Poi, quando Calabresi (che ovviamente aveva registrato tutto) gli aveva fatto sentire il nastro, Pinelli, non resistendo all’idea che i suoi compagni lo qualificassero come delatore, si sarebbe gettato dalla finestra.

Quando poco dopo durante il processo d’appello di Catanzaro verrà chiamato a rispondere delle sue affermazioni in tribunale, il giornalista chiederà scusa ammettendo di essersi sbagliato, di aver capito male, di non essersi espresso bene, di essersi addirittura inventato particolari rilevanti. “Una figuraccia - scriverà l’Unità - Partito con baldanza il 24 ottobre scorso con un articolo di fondo per rivelare « clamorose » novità sulla fine tragica dell’anarchico Pinelli, Indro Montanelli, comparso ieri di fronte ai giudici della corte d’appello di Catanzaro ha dovuto più volte chiedere scusa, ammettere di essersi sbagliato, di avere capito male, di non essersi espresso bene, di essere, insomma, un pessimo informatore. Per uno che passa per essere un «principe del Giornalismo» deve essere stata una gran brutta giornata”.

Una brutta giornata, una brutta figura, una caduta di stile, certamente imbarazzante  non unica nella storia del giornalista.

“Faticai molto a superare il suo odore dovuto al sego di capra di cui erano intrisi i suoi capelli - diceva Montanelli a proposito della sua piccola ‘sposa’ Destà nel 2000 - e ancor di più a stabilire con lei un rapporto sessuale perché era fin dalla nascita infibulata: il che, oltre a opporre ai miei desideri una barriera pressoché insormontabile (ci volle, per demolirla, il brutale intervento della madre), la rendeva del tutto insensibile”.

“Non si sarà mai dei dominatori, se non avremo la coscienza esatta di una nostra fatale superiorità. Coi negri non si fraternizza. Non si può, non si deve. Almeno finché non si sia data loro una civiltà. … Questa guerra è per noi come una bella lunga vacanza dataci dal Gran Babbo (Mussolini ndr) in premio di tredici anni di scuola. E, detto fra noi, era ora. Nessuno di noi si augura che la guerra finisca, abbiamo un solo desiderio: continuare!”, scriveva sulla Civiltà Fascista, nel 1936 (la guerra di Montanelli durerà solo fino a dicembre: ferito sarà costretto ad abbandonare i combattimenti). Sull’uso, rimosso per decenni, delle armi chimiche letali durante la guerra d’Etiopia, Montanelli si attesterà tenacemente su una linea negazionista. Alla fine, dopo che il governo Dini nel 1995-96, chiarirà definitivamente modalità e dimensioni del ricorso agli aggressivi chimici, il giornalista dovrà chiedere scusa.

Così come delle scuse saranno porte alla giornalista Tina Merlin. Spalleggiato da Giorgio Bocca, l’Indro nazionale darà alla giornalista de l’Unità che denunciava le colpe umane nel disastro del Vajont (9 ottobre 1963) della “sciacalla”. Farà ammenda due volte, nel 1997 e nel 1998, dalla sua Stanza sul Corriere, confessando due colpe gravi: di essere arrivato sul posto senza sapere niente della diga e di aver preso una posizione totalmente ideologica a favore dell’azienda responsabile, la Sade, soltanto perché contrario alla nazionalizzazione dell’energia elettrica.

“Capitano, è una sentenza insensata”, scriveva Montanelli a Priebke - criminale di guerra tedesco, agente della Gestapo e capitano delle SS durante la seconda guerra mondiale - nel 1996, “Da vecchio soldato, e sia pure di un Esercito molto diverso dal Suo, so benissimo che Lei non poteva fare nulla di diverso da ciò che ha fatto … Auguri, signor Capitano”. 

Informandola della formazione di un’organizzazione paramilitare in funzione anticomunista e chiedendole di garantire l’aiuto dell’esercito americano in termini di armi, flotta e aviazione, scriveva il giornalista all’ambasciatrice statunitense Clare Booth Luce nel 1954: “Se alle prossime elezioni un Fronte Popolare comunque costituito raggiungesse la maggioranza. Scelba cosa farebbe? Consegnerebbe il potere, e sarebbe la fine… Qualunque uomo di governo, oggi, anche non democristiano, si arrenderebbe per totale impossibilità di compiere un colpo di Stato… La polizia e l’esercito sono inquinati di comunismo. I carabinieri senza il Re, hanno perso di ogni mordente. E in tutto il paese non c’è una forza capace di appoggiare l’azione di un uomo risoluto. Noi dobbiamo creare questa forza. Non si può sbagliare guardando la storia del nostro paese, che è quella di un sopruso imposto da una minoranza di centomila bastonatori. Le maggioranze in Italia non hanno mai contato: sono sempre state al rimorchio di questo pugno di uomini che ha fatto tutto con la violenza, l’unità d’Italia, le sue guerre e le sue rivoluzioni. Questa minoranza esiste ancora e non è comunista … Di fronte a questa realtà, mi trovo in questo dilemma: difendere la Democrazia fino ad accettare, per essa, la morte dell’Italia; o difendere l’Italia fino ad accettare, o anche affrettare, la morte della Democrazia? La mia scelta è fatta”.

“È bastato in Italia un colpo di piccone alle case chiuse per far crollare l’intero edificio, basato su tre fondamentali puntelli: la Fede cattolica, la Patria e la Famiglia. Perché era nei cosiddetti postriboli che queste tre istituzioni trovavano la loro più sicura garanzia”, scriveva in Addio Wanda, pubblicato nel 1958 in opposizione alla legge Merlin. “Ah! La Sicilia! - affermava nel febbraio 1960 in un’intervista rilasciata alla prestigiosa rivista francese Le Figaro Letteraire - Voi avete l’Algeria, noi abbiamo la Sicilia. Ma voi non siete obbligati a dire agli algerini che sono francesi. Noi, circostanza aggravante, siamo obbligati ad accordare ai siciliani la qualità di italiani”.  

In un cablogramma dal titolo “Montanelli vede in arrivo il sangue”, i diplomatici Usa riferiscono nel 1978 a Washington quelle che definiscono le “tattiche” del giornalista: ricattare i Dc pronti a fare concessioni ai comunisti ed affondare Berlinguer per far tornare il Pci alla linea dura. Tornando alla linea dura, il passo successivo sarebbe un conflitto civile, in cui il Pci verrebbe distrutto. “Forse - affermava il giornalista - l’Italia avrebbe una democrazia del tipo di Pinochet. Quella sarebbe una prospettiva infernale, ma meglio che un governo con il Pci”.