Gli infortuni stradali sono la prima causa di morte sul lavoro. Secondo gli ultimi dati Inail, nei primi nove mesi del 2022 quelli in itinere, cioè capitati nel tragitto di andata e ritorno tra l’abitazione e il luogo di impiego, sono stati 64.459 (il 12 per cento del totale delle denunce di infortunio sul lavoro), 216 dei quali mortali. A questi se ne aggiungono altri 9.986 in occasione di lavoro con mezzo di trasporto, con 116 decessi.

Fuori dall’azienda

I casi mortali avvenuti fuori dell’azienda costituiscono quasi il 42 per cento dei decessi denunciati all’Inail nel 2022. Se si fa un confronto con il 2019, anno in cui, a differenza del 2020 e 2021, non erano in vigore le forti limitazioni alla circolazione stradale dovute alla pandemia, il trend risulta essere in diminuzione.

Ma gli infortuni rimangono comunque tanti e continuano a presentare una gravità media più elevata di quelli che si verificano in azienda. Stiamo parlando di un tema di grande rilevanza, che però stranamente è poco trattato dal testo unico per la salute e la sicurezza dei lavoratori.

La velocità tra le cause principali

Ma quali sono le cause principali? Per l’Inail, il mancato rispetto del codice della strada: la precedenza e le altre indicazioni della segnaletica, la velocità troppo elevata, l’uso del cellulare alla guida sono all’origine del 39 per cento degli incidenti.

La velocità è fra i tre comportamenti sbagliati degli italiani alla guida più frequenti anche secondo i dati Istat: la distrazione è il primo, il mancato rispetto della precedenza il secondo, la velocità il terzo. La guida troppo veloce, in particolare, è l’infrazione più sanzionata, rappresenta infatti il 36 per cento del totale, stando alle statistiche dell’Istituto pubblicate a luglio 2022 e relative al 2021.

A rischio tutti

Gli incidenti stradali che mettono a rischio il lavoratore hanno un impatto anche sugli altri utenti della strada, pedoni, ciclisti, motociclisti, altre vetture. È per questo, per salvare vite umane ma anche per inquinare meno che sta prendendo piede nelle città la realizzazione e l’ampliamento delle zone a 30 chilometri orari. Perché viaggiare entro i 30 all’ora significa dimezzare i tempi di arresto dell’automobile e aumentare il campo visivo del guidatore. 

I 30 nelle città

In Europa Parigi e Bruxelles hanno imposto il limite urbano, la prima dall'agosto del 2021 e la seconda dal gennaio del 2021. Dopo il primo anno di sperimentazione i risultati ottenuti sono stati un aumento del rispetto della velocità, si sono ridotti della metà i morti sulle strade, in modo significativo i feriti gravi. Amsterdam, Berlino, Copenaghen sono modelli rodati.

Ma anche Barcellona e Madrid. La Spagna ha cambiato il codice della strada e ha approvato una legge che prevede i 30 all’ora in tutte le strade urbane, tranne quelle a quattro corsie. Altre città stanno facendo scelte analoghe, Graz, Grenoble, Helsinki, Zurigo, Lilla.

Olbia la prima 

In Italia invece siamo indietro, e soprattutto non viene spiegato ai cittadini perché è uno strumento che migliora la vita di tutti. C’è Olbia, la prima città interamente Zona 30, una misura decisa da un’amministrazione di centrodestra, ma esperienze positive ci sono anche a Torino Mirafiori, Reggio Emilia, Brescia, Bologna, Cagliari. A Milano il consiglio comunale ha da poco approvato un ordine del giorno della maggioranza che invita all’approvazione di una delibera per introdurre il limite dei 30 su tutto il territorio a partire dal 2024. Una decisione che ha scatenato reazioni favorevoli e contrarie.

Rider più protetti

“Rallentare la velocità protegge tutti, utenti della strada e lavoratori: ce lo dicono i dati ufficiali – spiega Silvia Simoncini, segretaria nazionale Nidil -. In particolare i rider che sulla strada ci lavorano. Quando si verifica un incidente che coinvolge un ciclofattorino, nove volte su dieci era l’altro che andava troppo veloce. Ma nelle nostre città il problema non è tanto introdurre le zone 30 quanto farle rispettare e controllare. Tra l’altro i rider non sono nelle statistiche degli infortuni e delle morti sul lavoro dell’Inail, perché la loro iscrizione all’Istituto è molto recente: è solo da febbraio 2020 che è riconosciuta loro la copertura anche a fronte di contratti di lavoro autonomo”.

Benefici a 360°

L’utilità della zona 30 non è solo in termini di sicurezza: serve anche a ridurre l’inquinamento e ad abbassare il livello di rumore, il traffico si fluidifica, favorisce l’uso di mezzi alternativi come la bicicletta, dato che quasi il 50 per cento dei tragitti in città sono inferiori ai 3-5 chilometri. Quindi attiene direttamente al miglioramento della salute e della qualità della vita delle persone.

Più bici, meno auto

Proprio per dire basta alle morti in strada e in bici una cordata di associazioni, da Legambiente a Fiab, da Asvis a Vivinstrada ha protestato il mese scorso per l’azzeramento in legge di Bilancio del finanziamento di 94 milioni per il 2023-2024 (47 all’anno) per la realizzazione di zone a 30 km/h, corsie ciclabili, case avanzate e aree di sosta per bici.

E ha ricordato al ministero delle Infrastrutture e dei trasporti che a luglio scorso ha condiviso e firmato insieme ad Onu, Anci e Aci il manifesto “Per città 30 e strade sicure e vitali”. Risultato: un emendamento ha salvato 10 milioni di euro per la ciclabilità con l’istituzione di un fondo per lo sviluppo di ciclovie urbane intermodali. Una ben magra soddisfazione per un Paese che ha i tassi di motorizzazione più alti d’Europa (in alcune città tipo Roma, 70 auto per 100 abitanti, mentre le grandi capitali come Londra, Parigi, Amsterdam e Berlino ne contano 30 ogni 100), e che investe quasi 100 volte di più sull’auto che sulla bici.