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Il vicedirettore di Bankitalia (Visco) propone un fondo di garanzia: di natura pubblica? Nuove proposte dal sistema della previdenza complementare: alcuni pensano al modello svizzero.
Le borse americane, europee e asiatiche continuano a girare sulle montagne russe. La giostra finanziaria alterna con una velocità che non si era mai vista prima crolli e rimbalzi. L’effetto dello scoppio della bolla dei subprime e dei titoli immobiliari statunitensi produce effetti a catena che si sono trasformati in recessione economica. Ma gli effetti sono pesanti anche sui portafogli dei fondi pensione. A questo punto non si tratta più solo dei titoli “tossici”, che per fortuna hanno avuto una scarsa penetrazione nel sistema dei fondi italiani. Si tratta al contrario di una tendenza generale al ribasso che rischia di cronicizzarsi. I gestori non riescono a quanto pare a reagire come si dovrebbe e il rischio che gli obiettivi prefissati siano mancati diventa concreto. I dati, purtroppo, parlano chiaro. Rispetto all’impatto, prodotto nei primi otto mesi dell’anno in corso, i fondi pensione negoziali registrano un rendimento medio negativo del -2,5% rispetto al rendimento dei fondi pensione aperti, che registrano invece un -5,7%, e i piani pensionistici individuali (i cosiddetti Pip), che registrano un -8,8%.
A differenza di quello che succede con i fondi pensione americani molto esposti alla volatilità dei titoli e alla rischiosità dell’investimenti azionario, il sistema dei fondi pensione italiani – almeno finora – ha mantenuto una gestione prudente e un asset di investimenti abbastanza tranquillo. Dai documenti ufficiali risulta infatti che il patrimonio dei fondi pensione negoziali risulta composto per circa il 59% da titoli di Stato. Per quanto riguarda il comparto azionario e obbligazionario, viene data la possibilità ai lavoratori di scegliere il grado di rischio. Quasi tutti i fondi hanno infatti ormai diversificato i comparti. Ci sono le linee prudenti, le linee miste, le linee aggressive e quindi più esposte ai crolli delle borse, ma potenzialmente anche capaci di offrire rendimenti maggiori alla lunga. E sì perché il punto su cui continuano a insistere tutti gli esperti è quello della valutazione dell’orizzonte temporale di lungo periodo, dal momento che il risparmio è di tipo previdenziale e non finanziario-speculativo.
Ma la crisi si sta prolungando per troppo tempo e molti osservatori prevedono anche possibili peggioramenti nei prossimi mesi. E’ chiaro quindi che anche se è necessario ragionare con l’orizzonte temporale lungo, diventa urgente riaprire un ragionamento sui sistemi di difesa dei fondi pensione stessi. E’ infatti prevedibile che non tutte le gestioni siano in grado di reagire positivamente alla crisi. E se qualche fondo pensione non dovesse farcela? Quale sarebbero le conseguenze su migliaia di lavoratori? Non si tratta di lanciare inutili allarmismi. Si tratta piuttosto di prendere atto della situazione e affrontarla per cercare le soluzioni migliori, anche se qualcuno, anche all’interno del sindacato, comincia a parlare della fine di una fase storica dei fondi pensione.
In Italia i fondi negoziali hanno un sistema di regole, limiti e controlli sugli investimenti e una politica di diversificazione degli stessi, che li ha messi finora più al riparo dalle bufere finanziarie che si stanno abbattendo sul mondo. Inoltre, almeno per quanto riguarda il sistema dei fondi negoziali, i costi della gestione dei fondi stessi sono più contenuti, anche qui con una notevole differenziazione: 0,6% su un orizzonte temporale di 5 anni contro l’1,3% dei fondi pensione aperti e 2,4% dei piani pensionistici individuali. E poi ci sono i vantaggi fiscali e il vantaggio – solo per quanto riguarda però i fondi negoziali – di poter usufruire del contributo del datore di lavoro. Tutte queste cose le sappiamo. E sappiamo che in Italia, a differenza di quello che è successo negli Usa, c’è un sistema di controllo che funziona. Ma non possiamo più far finta di non vedere la crisi con tutti i suoi effetti collaterali. Si deve cioè cominciare a mettere in conto la possibilità di un intervento esterno ai fondi stessi.
Proprio la scorsa settimana un campanello d’allarme è scattato da un esponente autorevole della Banca d’Italia. Parlando a Parigi durante una conferenza dell’Ocse, il vicedirettore Ignazio Visco, ha ammesso che la crisi economica attuale potrebbe creare problemi ai fondi pensione a benefici definiti, dato che i prezzi in calo degli asset potrebbero peggiorare i ratios in termini di asset/liability, anche se in parte il rialzo dei rendimenti offerti sui bond corporate utilizzati in molti paesi per scontare le disponibilità dei fondi pensione sta mitigando l’effetto. In ogni caso Visco ha detto che oggi è ancor più necessario sviluppare “strumenti efficaci di protezione dei risparmi previdenziali”. Ancora più importante un altro lato della faccenda. Sempre secondo il vicedirettore di via Nazionale, gli aderenti ai fondi a contribuzione definita “sono meno fiduciosi nel prendere decisioni complesse” col “serio rischio che i sottoscrittori di fondi a contribuzione definita non risparmino abbastanza per la vecchiaia”. In altre parole, lasciare i singoli individui ad affrontare da soli questi rischi “è inefficiente da un punto di vista economico” . Si tratta quindi di arrivare a una integrazione: “Le soluzioni che i mercati finanziari offrono attualmente – ha spiegato Visco a Parigi - dovrebbero essere integrate con accordi collettivi che coinvolgano le generazioni presenti e future”. La proposta di Visco al settore dei fondi pensione in Europa è quindi di valutare “se questi accordi possano assumere la forma di garanzie minime, trasparenti, di natura pubblica. E se queste garanzie non siano le più idonee a favorire lo smussamento dei cicli e a distribuire i rischi su una platea più ampia e su un periodo protratto nel tempo”.
Siamo dunque a una svolta? A giudicare da quello che succede in Italia non si direbbe. Il governo è praticamente assente in questo campo. Da una parte ci sono gli evidenti conflitti di interesse, visti gli intrecci tra l’impero di Berlusconi e il sistema assicurativo che gira intorno a Ennio Doris e a Mediolanum. Tra l’altro la finanza berlusconiana ha le mani anche su molti fondi pensione negoziali in termini di gestione. Dall’altra parte c’è un silenzio molto preoccupante del ministro del Lavoro Sacconi, che di previdenza complementare non sembra minimamente volersi interessare. Stesso discorso per il suo collega Tremonti a cui – come è noto - interessa molto di più la potatura che la semina.
Nel frattempo scatta l’allarme anche all’interno del sistema dei fondi pensione. Si comincia a ventilare l’ipotesi di una riforma della riforma. Alcuni esperti cominciano per esempio a mettere a confronto il sistema italiano con quello di altri paesi. In Svizzera – tanto per fare un esempio – esiste un fondo di garanzia creato dai fondi stessi utilizzato per coprire i crolli. Si fissa ogni anno l’obiettivo di rendimento che si vuole raggiungere. Se si sta sotto, interviene il fondo di garanzia per assicurare rendimenti costanti alle pensioni dei lavoratori. Non è quindi un fondo statale pubblico, ma un fondo interfondi di natura pubblica. Si farà così anche in Italia?
Quello che è certo, comunque, è che diventa sempre più urgente ripensare tutto il sistema della previdenza complementare. A parte il crollo dei rendimenti, infatti, non si può non vedere il problema ancora più grave: quello della esclusione di migliaia di lavoratori precari (e anche i pubblici) che non riescono neppure ad accedere al sistema della cosiddetta “seconda gamba” previdenziale.