All’alba del 10 agosto 1944, a Milano, 15 partigiani (Gian Antonio Bravin 36 anni, gappista; Giulio Casiraghi 45 anni, comunista; Renzo Del Riccio 21 anni, socialista; Andrea Esposito 46 anni, comunista; Domenico Fiorani 31 anni, socialista; Umberto Fogagnolo 33 anni, azionista; Tullio Galimberti 22 anni, gappista; Vittorio Gasparini 21 anni, antifascista; Emidio Mastrodomenico 22 anni, gappista; Angelo Poletti 32 anni, antifascista; Salvatore Principato 52 anni, socialista; Andrea Ragni 23 anni, antifascista; Eraldo Soncini 43 anni, socialista; Libero Temolo 39 anni, comunista; Vitale Vertemati 26 anni, antifascista) sono prelevati dal carcere di San Vittore e portati in piazzale Loreto.

Qui vengono fucilati da un plotone di esecuzione composto da militi fascisti del gruppo Oberdan della legione Ettore Muti guidati dal capitano Pasquale Cardella agli ordini del comando tedesco. Dopo la fucilazione, a scopo intimidatorio, i cadaveri sono lasciati esposti sotto il sole della calda giornata estiva, coperti di mosche, fino alle ore 20 circa. Un cartello qualifica i partigiani fucilati come ‘assassini’.

La strage è portata a compimento dopo nemmeno quarantotto ore dalle esplosioni che la mattina dell’8 agosto nel tratto di viale Abruzzi che conduce a piazzale Loreto hanno fatto saltare in aria un camion tedesco provocando il lieve ferimento dell’autista e la morte di alcuni passanti tutti italiani.

Il comandante dei Gap, Giovanni Pesce, negherà che quell’attentato potesse essere stato compiuto da qualche unità partigiana. “L’ultimo volto che vedo, abbandonando la piazza, è quello di un repubblichino, che ride istericamente - raccontava anni fa proprio Visone - Quel riso indica l’infinita distanza che ci separa. Siamo gente di un pianeta diverso. Anche noi combattiamo una dura lotta, in cui si dà e si riceve la morte. Ma ne sentiamo tutto l’umano dolore, l’angosciosa necessità. In noi non è, non ci può essere nulla di simile a quello sguardo, a quella irrisione di fronte alla morte. Loro ridono. Hanno appena ucciso quindici uomini e si sentono allegri. Contro quel riso osceno noi combattiamo. Esso taglia nettamente il mondo: da un lato la barbarie, dall’altro la civiltà. Noi abbiamo scelto di vivere liberi, gli altri di uccidere, di opprimere, costringendoci a nostra volta ad accettare la guerra, a sparare e a uccidere. Siamo costretti a combattere senza uniforme, a nasconderci, a colpire di sorpresa. Preferiremmo combattere con le nostre bandiere spiegate, felici di conoscere il vero nome del compagno che sta al nostro fianco. La scelta non dipende da noi, ma dal nemico che espone i corpi degli uccisi e definisce l’assassinio ‘un esempio’”.

Per ordine dei nazisti i cadaveri vengono lasciati sul posto fino alle sei di sera.

“Formavano un gruppo tragicamente disordinato - ricorderà Camilla Cederna - per via del sangue, delle pose scomposte, dell’essere in una piazza quasi a contatto coi passanti. Uno addosso all’altro, pieni di mosche, sotto un sole tremendo, chi con le braccia aperte, chi rannicchiato; e sui cadaveri un cartello: “Il comando militare tedesco”. La gente, silenziosa e atterrita, che gli girava intorno, una vecchietta rimproverata perché si era fatto il segno della croce, mentre non è stato detto niente a un uomo che, presa bene la mira, ha sparato nel mucchio. Erano giovanissimi e anziani, in tuta blu o in giacca qualsiasi, tutti verdastri in faccia, sangue dappertutto, e i bambini che non smettevano mai di andare in prima fila ad osservarli meglio. Era uno spettacolo che non dimenticherò mai, e che mi ha riempito di dolore e vergogna”.

“Il modo della fucilazione era stato quanto mai irregolare e contrario alle norme - annotava il Prefetto di Milano in un suo suo promemoria per il duce - I disgraziati non avevano neppure avuto l’assistenza del sacerdote, che non si nega neppure al più abbietto assassino (...) Alle mie rimostranze, i comandanti nazisti hanno risposto tutti allo stesso modo: l’esecuzione era stata un’applicazione del bando del Maresciallo Kesselring (ndr : 10 italiani per un tedesco) L’impressione in città perdura fortissima e l’ostilità verso i tedeschi è molto aumentata. Vi sono stati anche scioperi parziali in alcuni stabilimenti e corre voce che se ne prepari uno domani (...) Non Vi nascondo che mi sento profondamente a disagio nella mia carica, giacché il modo di procedere dei tedeschi è tale da rendere troppo difficile il compito di ogni autorità e determina una crescente avversione da parte della popolazione verso la Repubblica” (nel 1999 l’unico sopravvissuto tra i responsabili nazisti della strage, Theodor Saevecke, allora capo della Gestapo a  Milano, sarà condannato all’ergastolo in contumacia dal tribunale militare di Torino).

“Fui testimone di quei terribili momenti - ricorderà anni dopo sempre Giovanni Pesce - di quelle angoscianti ore. E non potrò mai scordare l’orrore che suscitò in me quella scena in cui la crudeltà dello spettacolo offerto dai nazifascisti non aveva precedenti storici conosciuti. Da quel lontano agosto del 1944 piazzale Loreto è rimasto nel cuore, non solo dei parenti e degli amici delle quindici vittime, ma di tutti gli italiani antifascisti che mai dimenticheranno tanta barbara crudeltà”.

Secondo alcune testimonianze Mussolini, alla notizia dell’eccidio, avrebbe esclamato: "Il sangue di piazzale Loreto lo pagheremo molto caro". Aveva ragione.