Carlo Gritti aveva 54 anni, puliva il cassone di un camion e non è più tornato a casa, era il 15 giugno. A inizio mese a perdere la vita è stato Pio Giaretta, di anni ne aveva 55, è caduto da una impalcatura. Mentre l’8 giugno in Calabria a perdere la vita sono stati ben due lavoratori, avevano 54 e 41 anni. E il 13 dello stesso mese non ce la fa a sopravvivere alle ferite causate dalla caduta dall’alto Pasquale Cosenza, aveva 38 anni, lascia una moglie e una figlia. Potremmo continuare a lungo questo elenco che oltre al dolore suscita rabbia. Per ciò che si poteva e si doveva fare per non sprecare queste vite e che invece non si è fatto. Come nulla si è fatto per evitare gli infortuni di cui si è perso il conto e le malattie professionali che colpiscono inesorabilmente donne e uomini.

I dati aggiornati

In realtà gli ultimi ufficiali sono fermi ai primi 4 mesi di quest’anno. Sono quelli diffusi dall'Inail, l’Istituto nazionale Assicurazione infortuni sul lavoro, che attestano una riduzione degli infortuni nel primo quadrimestre del 2023: sono stati 187.324, in calo rispetto alle 254.493 denunce del primo quadrimestre 2022 (-26,4%). Ma è una riduzione solo apparente perché a diminuire sono state le denunce per contagio da Covid nei luoghi di lavoro. E infatti, purtroppo, i morti sul lavoro nello stesso periodo sono stati 264, tre in più rispetto ai 261 registrati nel primo quadrimestre 2022. Anche in questo caso è bene ricordare che le denunce Inail non corrispondono davvero a tutti gli infortuni e i decessi. Innanzitutto perché non tutti i lavoratori e le lavoratrici hanno la copertura assicurativa. E poi perché, come è ovvio, gli incidenti che coinvolgono lavoro grigio e nero non vengono denunciati, anzi spesso sono nascosti.

La prevenzione che manca

“Nel corso degli ultimi trent’anni la nostra pianta organica si è sempre ristretta e, nonostante negli ultimi due anni qualche rinforzo sia arrivato, siamo talmente pochi che certo non riusciamo a fare prevenzione”. Luca Gregorini è un tecnico della prevenzione in forza a uno Spresal della capitale. Stiamo parlando del Servizio per la prevenzione e la sicurezza negli ambienti di lavoro, uno dei servizi del dipartimento della prevenzione delle Aziende sanitarie locali. Il tema è sempre lo stesso, vale per gli Spresal come per l’Ispettorato Nazionale del lavoro, manca il personale, ispettivo e amministrativo, e l’attività di chi c’è, inevitabilmente, si concentra sull’attività legata agli incidenti accaduti, e quella di prevenzione viene rimandata a tempi migliori.

Un lavoro poco riconosciuto

“Per diventare tecnico della prevenzione - spiega Gregorini - occorre frequentare un corso universitario specifico e conseguire il diploma di laurea. Una volta superato il concorso ed entrati in forza alla Asl, assumiamo la qualifica di ufficiale di polizia giudiziaria e coadiuviamo l’attività delle procure nell’accertamento delle cause degli infortuni. Non solo, se riusciamo a svolgere attività di vigilanza e riscontriamo violazione alle norme, siamo direttamente noi ad applicare le sanzioni previste”. Lavoro delicato e di responsabilità, quello che illustra Gregorini, per il salario di circa 1.700 euro al mese. Il Contratto collettivo prevede il lavoro in turni e la reperibilità perché il servizio certo non può esser lasciato sguarnito, “ma con il personale a disposizione non riusciamo a coprire nemmeno i turni ordinari e siamo costretti a fare più turni di pronta disponibilità”.

Il paradosso

Lo dicevamo, gli Spresal sono servizi dedicati agli ambienti di lavoro dei Dipartimenti prevenzione delle Asl, eppure è proprio l’’attività di prevenzione quella che non riescono a svolgere. I tecnici della prevenzione alle dipendenze degli Spresal sono circa 1.600 su tutto il territorio nazionale. Oltre a rispondere alle chiamate delle procure per gli accertamenti sulla scena degli infortuni, davvero poco riescono ad ottemperare ai piani di prevenzione definiti dalle Regioni. Non solo perché sono davvero troppo pochi, ma anche perché oltre al loro, di lavoro, devono sopperire anche alla cronica mancanza di personale amministrativo sobbarcandosi anche una serie di incombenze non di loro competenza.

In aumento anche le malattie professionali

Le ispezioni dei tecnici della prevenzione nei luoghi di lavoro servono – meglio dire servirebbero – anche al fine di ridurre rischi e cause delle malattie professionali. Sempre secondo i dati diffusi dall'Inail emerge che “le denunce di malattia professionale protocollate dall’Inail nel primo quadrimestre del 2023 sono state 23.869, 4.582 in più rispetto allo stesso periodo del 2022 (+23,8%). L’incremento è del 28,1% rispetto al 2021, del 61,6% sul 2020 e del 12,5% rispetto al 2019”. E la domanda sorge spontanea: quante e quanti di noi si ammalano e non pensano che quella patologia può essere collegata al lavoro? L’incremento maggiore di malattie professionali riguarda le donne: ben il 30% in più rispetto allo scorso anno, contro l’incremento del 21% dei colleghi.

Aumentano i morti, il governo riduce gli indennizzi

Notizia recente, oltre a far cassa con pensioni e salute, ora l’esecutivo Meloni ha deciso di ridurre anche lo stanziamento per il risarcimento delle vittime di incidenti mortali sul lavoro. Il Decreto 75/2023, firmato dalla ministra del Lavoro Calderone taglia il Fondo di sostegno per le famiglie vittime di gravi infortuni. Si tratta di un Fondo per il risarcimento una tantum che l’Inail versa alle famiglie in attesa dell’indennizzo stabilito in seguito all’indagine di verifica sull’incidente. Nessuna cifra può risarcire moglie, mariti, genitori e figli della perdita di chi uscito di casa per lavorare non è più tornato, ma questo taglio è davvero terribile e ipocrita.

La verità è che qualunque occasione è buona per Meloni, ministri e ministre, per tagliare risorse a servizi e welfare. Ragione in più per essere in piazza del Popolo a Roma sabato 24 giugno prossimo.