Lo scorso agosto, durante la formazione del nuovo governo, il suo nome veniva speso da più parti come possibile  ministro dell’Economia di un esecutivo “di svolta”. Ma Emiliano Brancaccio, professore di Politica economica presso l’Università del Sannio, in un’intervista all’Espresso si sfilò immediatamente, non ravvisando le condizioni per una effettiva discontinuità in tema di lavoro, lotta alle disuguaglianze e misure anti-crisi. All’indomani della presentazione della Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza, gli chiediamo se abbia cambiato opinione o se i suoi dubbi sull’azione dell’esecutivo giallo-rosso permangono.

Rassegna Professor Brancaccio, il governo delinea una manovra da 29 miliardi, di cui 23 necessari per sterilizzare l’aumento dell’Iva e altri 6 per finanziare tutto il resto, incluso il rilancio degli investimenti pubblici e un taglio del cuneo fiscale da 2,5 miliardi, che dovrebbe portare qualche soldo in più nelle tasche dei lavoratori dipendenti. Qual è il suo giudizio su questi primi cenni di politica economica del nuovo esecutivo?

Brancaccio La sterilizzazione dell’Iva praticamente occupa l’intera manovra e rende pressoché impossibile l’utilizzo delle leve di politica economica. Il taglio del cuneo fiscale sarà poca cosa e non penso che resteranno margini per la ripresa degli investimenti pubblici. In questo modo non si fornisce alcun contributo per allontanare i rischi di recessione.

Rassegna C’erano margini per attuare politiche più incisive?

Brancaccio Dal punto di vista della lotta alle disuguaglianze certamente sì, almeno introducendo una patrimoniale sulle grandi ricchezze ed eliminando anche la flat tax salviniana sulle partite Iva, chiaro preludio di un aggiramento definitivo del principio costituzionale di progressività delle imposte. Ma questo governo sembra avere troppe velleità “ecumeniche”: non vuole scontentare né i ricchi, né i piccoli proprietari, e così facendo si ritrova con pochi spiccioli per i lavoratori dipendenti.

Rassegna E per il rilancio dello sviluppo, si poteva fare di più?

Brancaccio Su questo bisogna essere onesti: con le attuali regole europee non molto. Già adesso le coperture non sono chiare. Il governo dichiara che troverà 7 miliardi di risorse aggiuntive dalla lotta all’evasione tramite incentivi ai pagamenti tracciabili e che altri 6 miliardi verranno da altre misure, come i tagli alla spesa pubblica, ritenuta “superflua”, e l’eliminazione degli sconti fiscali, dannosi per l’ambiente. Sono cifre troppo ambiziose, come del resto è troppo ottimistica la previsione di crescita del Pil.  Per far quadrare i conti, il governo si ritroverà a espandere il deficit anche oltre i 15 miliardi di flessibilità che già intende chiedere a Bruxelles. Andremo quindi al di là del 2,2 percento di deficit programmato.

Rassegna Eppure i mercati reagiscono bene. Come mai il deficit creato dal nuovo governo non fa paura, mentre quello pressoché uguale del precedente mandava in fibrillazione lo spread e faceva impennare i tassi d’interesse?

Brancaccio Il livello del deficit pubblico c’entra ben poco. L’anno scorso i tassi d’interesse aumentavano perché gli operatori sui mercati, a torto o a ragione, ritenevano che nella vecchia compagine di governo stesse montando una gran voglia di uscire dall’euro. Per questo motivo pretendevano che al normale tasso d’interesse si aggiungesse un premio per il cosiddetto “rischio di cambio”, cioè per coprire l’eventualità che l’Italia uscisse dalla moneta unica e che i titoli nazionali fossero denominati in una nuova lira deprezzata. Adesso invece gli operatori ritengono che il nuovo esecutivo sia legato a filo doppio al processo d’integrazione europea e che dunque non oserà in nessun caso contestare l’euro. Ecco perché non reputano più necessario esigere un premio per il rischio sui titoli italiani.

Rassegna Hanno ragione?

Brancaccio A lungo termine direi di no. La mia valutazione è che la sopravvivenza o meno dell’eurozona dipenderà da fattori di carattere più generale, come la capacità complessiva dell’Unione di reggere l’impatto di una nuova crisi economica. Sono elementi che si situano ben al di sopra delle chiacchiere sulla fedeltà all’euro di questo o di quel governo. Ma come diceva James Tobin, i mercati si soffermano spesso su aspetti secondari e hanno una visione molto ristretta delle cose: la maggior parte degli operatori finanziari non è abituata a guardare al di là dei prossimi dieci minuti.

Rassegna Comunque, per il momento, il nuovo orientamento dei mercati è un fatto positivo che ci farà risparmiare sulla spesa per interessi.

Brancaccio È vero. Ma è anche un fatto negativo se significa che questo governo subirà passivamente un sistema di vincoli che non consente di reagire ai venti di crisi. Per citare un esempio tra tanti, qualcuno dovrebbe almeno chiarire che gli impegni sulle clausole Iva che il governo Berlusconi stipulò con Bruxelles nel lontano 2011 sono una iattura che ha bloccato ulteriormente le leve della politica economica. Bisognava mettere in discussione almeno quelli e invece il governo si è praticamente immolato a essi. La conseguenza è che continueremo a passeggiare sull’orlo della recessione senza avere i mezzi per allontanarcene.

Rassegna Al di là di misure più incisive per contrastare la crisi, c’è qualcosa che lei ritiene particolarmente urgente veder realizzato? E qual è un provvedimento chiave che i sindacati dovrebbero esigere dalla nuova compagine governativa?

Brancaccio Il compianto Augusto Graziani sosteneva che i governi, in ultima istanza, si dovrebbero giudicare in base alle loro posizioni in tema di legislazione del lavoro. Penso che questo criterio di valutazione sia più che mai attuale. Bisognerebbe mettere alla prova il nuovo esecutivo esigendo una nuova normativa che innalzi e renda più uniformi le tutele delle lavoratrici e dei lavoratori, dopo anni di dissennata precarizzazione. Come ormai ammettono persino i responsabili Ocse e Fmi, le deregolamentazioni del lavoro che sono state lungamente attuate, in Italia e altrove, non hanno dato benefici in termini di maggiore occupazione e hanno invece abbattuto il potere contrattuale dei lavoratori e delle loro rappresentanze sindacali, con effetti deleteri sui salari, sulla distribuzione dei redditi e sulle condizioni di lavoro. Da questo punto di vista, la cosiddetta “legge dignità” è stata una piccolissima inversione di tendenza, ma ha inciso ben poco. Per un sindacato che non si accontenti di svolgere solo una funzione “di servizio”, ma intenda ristabilire un’effettiva capacità di difesa degli interessi della classe lavoratrice, esigere una reale svolta su questo versante della politica economica è una questione cruciale, direi di sopravvivenza.