Nonostante le risorse non indifferenti investite negli ultimi anni, a partire dall’ambizioso piano europeo Garanzia Giovani, l’Italia è il Paese con il più alto numero di Neet in Europa: circa il 23% delle e dei giovani tra 15 e 24 anni non studiano, non lavorano né sono impegnati in alcuna attività di formazione. “Questi dati confermano il fatto che la questione sociale nel nostro paese è oggi più che mai una questione giovanile. L’analisi e la destrutturazione delle diverse ‘categorie’ che rientrano in quella più generale dei Neet sono da questo punto di vista una lente importante per capirne bisogni e condizioni particolari. E questo è uno degli obiettivi di questa ricerca così importante”. Così il segretario confederale della Cgil, Christian Ferrari, a cui abbiamo chiesto di ragionare sul rapporto presentato questa mattina (8 novembre): Neet tra disuguaglianze e divari. Alla ricerca di nuove politiche pubbliche”, realizzato da Cgil e ActionAid. “Una condizione, quella dei Neet che è peggiorata nel tempo nonostante le politiche e le risorse messe in campo. Serve dunque discontinuità”.

I dati sulla scuola sono particolarmente scoraggianti. Coloro che fra i 18 e i 24 anni sono fermi alla licenza media sono il 15% rispetto alla media europea dell’11%. Siamo molto indietro anche sul fronte dell’istruzione universitaria: appena il 20% di chi ha tra 25 e 64 anni risulta aver conseguito un titolo terziario, contro il 32,5% nella Ue a 27.
Purtroppo è così. Ed è l’amara conferma che abbiamo bisogno di più scuola e di più scuola pubblica. Per questo serve tornare a investire, dopo un ciclo pluriennale di definanziamento. Chiediamo un incremento di almeno un punto di Pil degli investimenti sulla scuola pubblica, per garantire a tutti il diritto direi sociale all’istruzione e portarci a livello almeno della media europea. 

La questione delle risorse è ovviamente anche legata al fatto che serve più scuola…
Esattamente: l'obbligo scolastico va elevato a 18 anni. Bisogna cioè costruire le condizioni per una scuola che sia all'altezza delle sfide che ha davanti. Vale anche per il tempo pieno e prolungato che in molte aree del paese non è disponibile. E poi, naturalmente, c’è la questione degli asili nido e della scuola dell’infanzia, perché all'interno del mondo Neet le giovani donne portano il peso del lavoro di cura e della mancanza dei servizi. Infine, gli investimenti legati al Pnrr vanno utilizzati al meglio per raggiungere questi obiettivi. 

Cosa non ha funzionato nelle politiche giovanili di questi anni?
Io credo che la prima necessità sia quella di un maggior coordinamento che sinora non è stato efficace, né a livello locale né a livello nazionale. Poi sono evidenti a tutti i limiti di Garanzia Giovani, che pure ha investito risorse notevoli.

Ad esempio? 
Si è puntato molto, troppo direi, sui tirocini e gli incentivi alle imprese, per di più in un contesto di forte precarietà nel mercato del lavoro. E comunque, se dopo anni si tira una linea e si vede che il numero dei Neet non è sceso, è la prova che queste scelte sono state sbagliate.

Al Sud i giovani tra i 15 e 24 anni fermi alla licenza media sono il 20 per cento, 5 punti sopra la media nazionale e 9 rispetto a quella europea. Eppure si torna a parlare di autonomia differenziata. Non lo trovi singolare?
Sì, e ancora una volta con la lente dei neet cogliamo l’esistenza delle grandissime diseguaglianze e degli squilibri territoriali che caratterizzano il nostro paese e che l’autonomia differenziata aumenterebbe ancora di più. Se partiamo da qui, ci rendiamo conto che il dibattito di questi giorni sul merito è altrettanto surreale. La scuola non è il luogo in cui selezionare i migliori, ma quello in cui tirare fuori il meglio da ognuno, a partire dai più fragili, che è cosa molto diversa. Proprio questi più fragili, che rappresentano il primo cluster dei Neet osservati nella ricerca, dovrebbero essere in cima alle preoccupazioni della politica, a partire da abbandono e dispersione. E invece è partita una narrazione tossica di ragazze e ragazzi choosy, che se ne stanno a perdere tempo sul divano vivendo magari del reddito di cittadinanza anche della propria famiglia. È una mistificazione che non corrisponde alla realtà.

Cosa può fare il sindacato?
L’analisi della condizione giovanili – insisto – è il paradigma delle difficoltà e delle esigenze di questo paese che però non sembrano essere tra gli obiettivi della nuova stagione politica. La Cgil nelle sue battaglie porterà avanti le proprie priorità. Investire sulla conoscenza, garantire il diritto all’apprendimento lungo tutto il corso della vita e contrastare la precarietà sono tutti temi che parlano alle nuove generazioni.