Figlia di un avvocato civilista e di una sarta, Bianca Guidetti Serra muore a Torino il 24 giugno 2014 “Sono nata a Torino, il 19 agosto 1919 - scriveva - in via Sant’Agostino e abito da più di cinquant’anni in via San Dalmazzo. Ho spesso scherzato sull’abitudine ad avere per compagni di strada dei santi, che sono anche gli unici a me familiari, ma voglio qui semplicemente indicare (per chi non è torinese) che una parte importante della mia vita si è svolta entro un raggio di cinquecento metri, nel vecchio centro della città”.

Giovanissima aderisce all’antifascismo anche per reazione alle leggi razziali che colpiscono i suoi amici ebrei, tra cui Primo Levi, che proprio a lei farà pervenire per posta le poche notizie della sua deportazione ad Auschwitz, e Alberto Salmoni che diventerà nel 1945 suo marito (celebra il matrimonio civile la vicesindaca Ada Gobetti, vedova di Piero).

Membro dei Gruppi di difesa della donna durante la Resistenza (“Il nesso tra la lotta di liberazione e l’emancipazione femminile, in nome del principio di eguaglianza - dirà - era forte e sentito, e molte conquiste delle donne nel dopoguerra, dal diritto di voto alle leggi sul lavoro, ebbero anche qui le loro premesse”), dopo la Liberazione Bianca difende gli operai delle fabbriche collaborando attivamente con la Camera del lavoro di Torino (rilevante sarà il suo contributo nello svelare e nel denunciare le schedature perpetrate illegittimamente dalla Fiat ai danni dei suoi dipendenti).

Nel 1956, quando i carri armati sovietici entrano a Budapest, abbandona il Partito comunista. “I comunisti erano un po’ come una chiesa con i suoi preti. - dirà - Uscii piangendo, non mi vergogno a dirlo. Era un’epoca della mia vita che si chiudeva, in un senso di solitudine e di estraneità (…) Non mi sono più iscritta a nessun partito, ma ho inteso la professione anche come una diversa forma di militanza, difendendo cause che sentivo giuste o anche persone che avevano fatto cose ingiuste ma di cui vedevo quanto meno un’attenuante nell’entroterra sociale”.

In veste di avvocato la partigiana Nerina fa parte di numerose missioni internazionali: a nome dei Giuristi democratici sarà membro di delegazioni internazionali a sostegno delle donne carcerate (1959) e dei sindacalisti processati (1973) nella Spagna franchista, lotterà in Paraguay (1979) per il caso del desaparecido Amilcar Santucho, avvocato argentino militante nella Lega per i diritti dell’uomo.

Sarà anche promotrice, nel ruolo di difensore delle vittime, delle prime battaglie giudiziarie per la tutela della salute in fabbrica e contro l’inquinamento ambientale, contro l’Ipca di Ciriè (1972-77) e l’Eternit di Casale (1983-94). Scriveva nella sua autobiografia Bianca la rossa, uscita nel 2009 per Einaudi: “Nel mestiere e nella militanza ho cercato di far valere contro la legge del più forte i diritti dei più deboli. Non mi sono mai sentita antagonista per principio: quando mi sono battuta contro qualcuno era per difendere qualcun altro”.

“Ricordo bene il mio primo processo penale - racconterà - difendevo tre operaie imputate per un picchetto in Val Chisone. Il pubblico ministero chiese che dimostrassi di essere davvero un legale”.

“Dopo la Resistenza - raccontava - per un certo periodo ho fatto la funzionaria sindacale, la funzionaria di partito fino al ’49, poi ho deciso di fare l’avvocato perché già mi sentivo in dissenso con il partito comunista, poi nel ’56 sono uscita e non mi sono più iscritta a nessun partito. Però ho continuato anche nel mio mestiere a impegnarmi, mi sono occupata di quattro, cinque, venti, trenta associazioni, non ricordo neanche più, nel ’68 ho fatto l’avvocato veramente per centinaia di ragazzi... Ho fatto una scelta, cioè, che mi permettesse di restare fedele al mio modo di pensare senza legarmi però a una situazione politica che non condividevo più. Insomma, quella del ’56 era stata una rottura importante. Per me il comunismo voleva dire proprio solidarietà, rispetto dei compagni, amore, quando ho letto e saputo alcune delle cose che erano successe mi è sembrato doveroso dare un segnale a quelli che sapevano: queste cose non si possono accettare. Io sono rimasta lì, non le dimentico: l’eliminazione dei compagni, l’inganno, l’uso sistematico della violenza... Così continuai a inseguire i miei ideali svolgendo la mia attività di avvocato, e lo faccio ancora oggi, entro certi limiti naturalmente, per quel che posso”.

Bianca Guidetti Serra moriva nella sua Torino il 24 giugno 2014.

“Esistono anche le Madri della Patria - scriveva nell’occasione Repubblica - Bianca Guidetti Serra, avvocato, storica, pilastro della ormai leggendaria Resistenza torinese, è stata una di loro”.