13 anni dopo la strage della ThyssenKrupp di Torino e la morte di 7 operai, come vanno le cose in Italia, in questo 2020 funestato dal covid? Lo abbiamo chiesto a Sebastiano Calleri, responsabile salute e sicurezza della Cgil. Che fa il punto, concentrandosi proprio sull’analisi di questi mesi di emergenza sanitaria. “Eravamo partiti confrontandoci con il governo, subito prima che scoppiasse la pandemia. Una discussione legata, certamente, anche ai temi sollevati da incidenti gravissimi quali quello della Thyssen. Avevamo parlato dell’applicabilità del sistema di prevenzione, incentrando il dialogo su quattro punti cardine: ispezioni, banche dati, patente a punti per la sicurezza negli appalti e qualificazione delle imprese. Ma la questione covid, subito dopo, ha di fatto interrotto il tavolo”.

Qual è stato l’impatto del virus sulla situazione? “La pandemia ha accentuato, rispetto alle tutele, le differenze nei luoghi di lavoro. Lo si è visto nel confronto tra le aziende considerate essenziali e tutte le altre. Lo si è visto nella riproposizione, drammaticamente reiterata nel nostro Paese, dello scambio tra salute e lavoro, all’origine anche della strage alla Thyssen di Torino. In quella acciaieria c’erano estintori scarichi e un sistema di prevenzione allentato, per usare un eufemismo. Il lavoro stava finendo, i tedeschi avevano già annunciato la chiusura dello stabilimento, la fabbrica era in dismissione, ai manager non interessava più spendere soldi per salvare le persone. La stessa cosa si è vista anche adesso, nella pandemia: interi settori dichiarati essenziali non avevano interesse a investire anche solo per dare le condizioni minime di sicurezza. Molti imprenditori hanno chiesto deroghe ai prefetti perché il loro codice ateco di riferimento non li catalogava tra gli essenziali. Ancora una volta, lavoratori di serie B, C e D. Anche qui la mancanza strutturale di risorse per i controlli, endemica nel nostro Paese, ha fatto sì che potessimo assistere, in pieno lockdown, a operai o addetti del commercio al proprio posto senza neanche i più essenziali dpi, le mascherine o il disinfettante per le mani”.

Cosa è mancato nella reazione all’incidente di Torino del 2007 e che ancora oggi manca? “L’onda emotiva della discussione nata subito dopo il rogo della Thyssen aveva portato all’approvazione del decreto legislativo 81, che prevedeva soprattutto controlli più mirati. Ma l’intento non si è realizzato. Continuiamo ad avere gli stessi effetti. Del resto, tornando all’oggi, il famoso conflitto tra Stato e regioni non si combatte solo sulle misure per contenere la pandemia, ma anche su quelle di aiuto alle imprese al fine di lavorare in sicurezza. Ad oggi siamo con molte migliaia di morti, 66mila denunce di malattia professionale, un aumento tra il 19 e il 24 per cento dei decessi, a seconda delle stime. Ma solo nel 30 per cento della quota di aumento le morti sono dovute al covid. Il 70 per cento delle vittime in più rispetto al 2019 è sempre conseguenza di infortuni. Che quindi continuano drammaticamente a salire”, persino in un anno in cui, tra lockdown, smart working e chiusure, le ore lavorate sono state senz’altro di meno.

Quali atteggiamenti occorre combattere e cosa aspettarsi dal prossimo futuro? “Questi numeri sono dovuti al sistema e agli atteggiamenti dei singoli attori. Pensiamo alle associazioni datoriali, oltre che ai governi. C’è una parte delle imprese che attacca anche i protocolli sottoscritti. Che non voleva inserire il covid nell’aggiornamento del documento dei rischi. Che ha fatto resistenza sull’adozione di misure di sicurezza all’interno dei luoghi di lavoro, che si è negata al confronto con i sindacati, sia a livello aziendale, sia a livello territoriale. Per come sono andate le cose e per l’impegno che ci abbiamo messo, il mondo del lavoro ha avuto anche un grande colpo di reni e di resistenza. Gli elementi problematici però ci sono e non abbiamo ancora visto tutti gli effetti legati al contagio. Le conseguenze fisiche e psicologiche che insorgeranno dopo la fine della pandemia, i danni differenziali a polmoni, cuore e cervello, già evidenziati da alcuni studi. La capacità muscolare e respiratoria ridotta, i traumi e le sindromi da stress e burn out. Siamo in mezzo al guado, sappiamo bene che questa vicenda non finirà qui”.