Affermava Giovanni Agnelli su La Stampa il 6 marzo 1991: “Ho mandato al giornale una foto di una partita della Juventus del 1948, dove mi trovavo accanto a Togliatti. Lui, come tutti i leader comunisti di una certa generazione e di una certa classe, era juventino. Non ho mai avuto modo di verificare se Berlinguer amasse la Juventus; ma da alcune sue reazioni, che ho avuto occasione di vedere allo stadio, mi pare che anche il suo cuore fosse bianconero”.

Curiosamente bisogna ammettere che molti capi del comunismo italiano tifavano la Juve di Agnelli. Luciano Lama su tutti, ma non solo lui. Narra la leggenda che Palmiro Togliatti ogni lunedì mattina chiedesse a Pietro Secchia (secondo alcuni si trattava in realtà di Longo), che cosa avesse fatto la Juve il giorno prima; se il malcapitato non aveva la risposta pronta, Togliatti - raccontano sempre i ben informati - usava rimbrottare: “E tu, pretendi di fare la rivoluzione senza sapere i risultati della Juventus?”. I più arditi arrivano a raccontare che “Cos’ha fatto la Juventus?” sia stata la prima domanda del segretario comunista al risveglio dopo l’attentato del 14 luglio 1948.

Il 16 dicembre 1988 l’Unità pubblicava in prima pagina un articolo dalla titolazione evocativa "Gramsci tifava per la Juve" (l’articolo è ufficialmente inserito nella “Bibliografia gramsciana”). Il pezzo, firmato da Giorgio Fabre, riportava alcune lettere apparse sulla rivista Lancillotto e Nausica in cui il fondatore del Partito comunista chiedeva al destinatario, Piero Sraffa, “notizie della nostra Juventus”. Le lettere ben presto si rivelarono false ma scatenarono comunque numerose reazioni, ad iniziare da Giampiero Boniperti che a nome della società disse il giorno seguente su La Stampa: “Ci fa piacere sapere che tra i nostri tifosi ci sono stati personaggi che hanno segnato un’epoca dal punto di vista politico, economico ed intellettuale. Questo dimostra che la Juventus ha davvero qualcosa di particolare, un fascino che con il passare degli anni non ha perso mai vigore”.

Una passione, quella per il calcio che, a parte Bruno Trentin, sembra non risparmiare nessuno. La già citata lettera di Agnelli su La Stampa del 1991 si concludeva con queste parole: “I tempi cambiano: non c’è più Togliatti, e non ho visto Lama. Per fortuna avevate come rappresentante l’onorevole Veltroni”. “Penso di essere l’unico caso atipico - diceva nel luglio 1995 sempre su La Stampa l’ex sindaco della capitale - Perché Togliatti era di Torino, Berlinguer sardo e Lama romagnolo, terre tradizionalmente bianconere. Io invece sono romano, per me è un po’ diverso”.

Anche un insospettabile Pier Luigi Bersani nel novembre 2012, intervistato dal settimanale Oggi, affermava: “Quando uno è piccolino e vede Sivori non è che poi può tifare per un’altra squadra”. Tra i tifosi juventini si annoverano anche Paolo Gentiloni, Piero Fassino - con un passato da mezzala nelle giovanili della Juve - Giuseppe Civati. Del resto lo stesso Aldo Agosti, studioso del movimento socialista e comunista italiano e internazionale, ha dedicato - insieme a Giovanni De Luna - un libro alla Signora dalla titolazione evocativa: Juventus, storia di una passione italiana.

“La massiccia immigrazione dei meridionali dal sud al nord tra la fine degli anni ‘60 e la fine degli anni ‘70 del secolo scorso - spiegava Agosti al Manifesto lo scorso gennaio -  ha sconvolto la gerarchia del tifo non solo in Italia, ma anche a Torino. Tra il 1966 e il 1967 saltò completamente lo schema stereotipato, che voleva i tifosi del Torino di estrazione popolare e quelli della Juventus borghesi”.

Alla domanda "alcuni leader della sinistra sono stati tifosi juventini, Togliatti, Lama, Berlinguer e altri. Perché la squadra della Fiat 'attrae' la sinistra?" De Luna rispondeva: “Nel tifo per la Juve c’è una radice antagonistica, che legittima ampiamente una collocazione a sinistra, c’è il contado contro la città, la provincia italiana contro il capoluogo. In occasione di una partita Fiorentina-Juventus fu esposto uno striscione allo stadio "Firenze sportiva saluta il contado bianconero". In Romagna, nella Grafagnana, in Brianza, in Campania dove sono nato, si fa il tifo per la Juventus contro il Bologna, l’Inter, la Fiorentina, il Napoli. La Juve raccoglie anche un tifo conflittuale. Quando ho cominciato a fare il tifo per la Juventus, tutta la mia famiglia era tifosa del Napoli. Può darsi che la Juve sia la squadra del Potere. Potrebbe essere vero da un punto di vista culturale, ma certamente non lo è da un punto di vista dei tifosi”.

La Juventus è l’unica squadra in Italia che fin da principio si è identificata con un padrone, il suo padrone - scriveva al contrario sempre su l’Unità il 30 ottobre 1997  Folco Portinari - Sempre quello. Con un passaggio ereditario di padre in figlio, ormai alla quarta generazione. Il padrone della Juventus, però, era ed è non un padrone qualunque, no quello juventino è il PADRONE, tutto maiuscolo, teologico, nel senso che ha tutte le prerogative attribuite a Dio (…) Quando si determinarono gli schieramenti cittadini opposti, il Torino, maglia rossa, fu la squadra diciamo così proletaria, la Juve rappresentò la Fiat. Da una parte la classe operaia e dall’altra il capitale. Magari fosse stato così… L’immagine tenne fino alla fine della guerra, quando dalla Russia tornò il compagno Ercoli. Dio mio, chi potrà raccontare la nostra amara delusione, di idealisti traditi, quando vedemmo in tribuna d’onore Palmiro Togliatti tifare Juventus accanto agli agnellini, ai giovani Agnelli. Quel giorno ci accorgemmo che la lotta di classe era finita. Era stata un gioco. Infatti perdemmo le elezioni e per andare al potere, mezzo secolo dopo, avremmo dovuto mollare su tutto, sul nome, sulla falce e il martello, sui simboli. Lì incominciò anche la fine del Toro. Non c’era più spazio per le bandiere. È anche per questa ragione che non amo la Juventus. Sarò più corretto: è per questa ragione che odio la Juventus”.

Perché in fondo è proprio così: la Juve o si ama o si odia, ma - nel bene o nel male - è veramente difficile non parlarne, anche su l’Unità, quando c’era l’Unità.