Come si possono aiutare gli studenti più svantaggiati al tempo del virus? Quali sono i loro problemi di oggi, e come affrontare quelli di domani? Questo e altro abbiamo chiesto a Fiorella Farinelli, che fa parte dell’Osservatorio del Ministero dell’Istruzione sull’integrazione scolastica degli studenti stranieri. e della rete ScuoleMigranti, coordinando a Roma e nel Lazio un centinaio di scuole del volontariato per l’apprendimento dell’italiano L2.   

Signora Farinelli, che idea si è fatta del periodo forzatamente complicato che la nostra scuola sta attraversando?

Fermo restando che gli insegnanti hanno fatto il possibile, sappiamo tutti che l’e-lerning in questa fase si intreccia con la dimensione domestica, e naturalmente l’uso delle tecnologie nella didattica “fisica” è una cosa, un’altra se diventa improvvisata, se si è costretti a utilizzarla come nella circostanza che stiamo vivendo, impattando in maniera fortissima sulle condizioni familiari. Tutto questo è come se avesse scaricato il grande tema delle diseguaglianze sulle spalle della scuola italiana, che certo non brilla per equità sociale. E così il nostro sistema scolastico si trova un po’ in difficoltà.

Cosa sta rilevando il vostro Osservatorio a tal proposito?

Le difficoltà che cerchiamo di evidenziare sul tema delle diseguaglianze nel mondo scolastico, come dicevo, in questa fase sono molto legate agli ambienti domestici, perché dipendono dalle capacità e dal tempo messi a disposizione dai genitori per i propri figli, in particolare per quanto riguarda i più piccoli, non ancora in grado di gestire gli strumenti tecnologici in maniera autonoma. Il nostro Osservatorio si sta concentrando soprattutto sulla situazione dei disabili, che nelle nostre scuole sono oltre 270.000, un numero che tende ad aumentare. C’è stata una capacità notevole, encomiabile da parte dei genitori nel denunciare le difficoltà multiple che sono costretti ad affrontare quando i loro figli devono essere inseriti nella scuola, una scuola che li fa vivere, oltre che apprendere. In questa fase, in questo tipo di difficoltà, vanno aggiunte quelle di accedere alle varie piattaforme, di creare loro alternative quotidiane. E non è semplice...

Gli studi che portate avanti per il Ministero si occupano anche di studenti stranieri.

Sì. Un’altra area di sofferenza, quella dei ragazzi che chiamiamo stranieri, anche se ormai nella stragrande maggioranza dei casi sono nati in Italia. Qui ci troviamo di fronte a deficit linguistici e a tassi di povertà rilevanti, basti vedere l’ultima indagine Istat riguardante le seconde generazioni, risultate con un grado di monoparentalità tra le più alte del Paese, da affiancare a problemi di natura economica, e di apprendimento della lingua italiana, in realtà presente più nei genitori che nei figli. Ecco, se c’è un cosa che in questo periodo di scuole chiuse mi preoccupa, anzi direi mi indigna, è il  fatto che  nessuno rappresenti questi alunni, quasi sempre figli di relazioni stabili, non di stranieri arrivati dai barconi, per intenderci. Nessuno ha denunciato questa diseguaglianza che si accatasta ad altre diseguaglianze, neanche una parola dedicata a loro nelle varie comunicazioni ministeriali di questi due mesi.

Cosa la preoccupa maggiormente?

Sono preoccupata non perché la didattica a distanza dovesse rimediare ai deficit di quello che non si fa neanche a scuola, come l’attivazione massiccia di corsi di L2 o altro. Non imputo alla dad delle colpe che non ha, ma certamente si dovrebbe tener conto di certe difficoltà, mentre la ministra neanche le cita: se tirata per i capelli dai genitori dei disabili arriva almeno una citazione, mentre sui circa 900.000 studenti stranieri  neanche una parola. Questo è il motivo per cui dentro l’Osservatorio sta crescendo malcontento e fermento per sollevare la questione, il che non significa non riconoscere gli sforzi prodotti,, ma che c’è anche altro da fare.

Cosa?

Le criticità che si sono evidenziate in questa fase hanno bisogno di tendenze specifiche. Per esempio, c’è un argomento delicato su cui riflettere: nelle nostre scuole gli stranieri con disabilità sono sovrarappresentati di quattro volte rispetto alla media dei BES, gli studenti certificati per bisogni educativi speciali. C’è forse una certa disinvoltura nel riconoscere questo status, laddove magari esistono soltanto problemi di apprendimento linguisitico. Come si può intuire stiamo parlando di pedagogia antropologica, che pone delle questioni: siamo capaci di capire davvero quali siano le origini di certi disagi o di certi apprendimenti, o le condizioni di migranti che parlano altre lingue, oppure si ci siano altri problemi? Ecco, quello che dico è che non trovo una adeguata attenzione su questo, non so se abbiamo la capacità effettiva di interpretare il disagio, stigmatizzandolo come doppio sguardo, doppia diseguaglianza , doppio svantaggio. Si tratta di un tema molto importante, che pone molti interrogativi. Da tanto tempo la scuola italiana rispetto agli stranieri vanta capacità di inclusione, ma non entra dentro contraddizioni evidenti, e dato che ormai questi alunni e alunne sono parte integrante del nostro tessuto sociale, bisogna affrontare la questione non soltanto per un rispetto dei loro diritti, i diritti dei minori, ma per il Paese, per fare in modo che i loro talenti e le loro capacità vengano sfruttate al meglio.

Una volta portato a termine l’anno scolastico, in che modo si dovrebbe ripartire?

Bisognerebbe già dall’estate attivare la scuola, attraverso i suoi spazi aperti, e non soltanto i centri estivi promossi e organizzati dai Comuni. E si dovrebbero riaprire le scuole in estate non soltanto in termini di recupero dei deficit di apprendimento, che ci sono per tutti gli studenti, ma per ricostruire condizioni di vicinanza con la scuola, condizioni di vicinanza all’aria aperta, intervenendo in questo modo sui disagi di tipo relazionale e psicologico, così da tenere in conto queste situazioni sin dal primo giorno del prossimo anno scolastico.