Nella Piana di Gioia Tauro, nella tendopoli di San Ferdinando e negli altri insediamenti informali di braccianti, le tensioni create dal rischio contagio da coronavirus cominciano a farsi sentire. La “bomba sociale”, fatta di migliaia di lavoratori stranieri che abitano nei ghetti e negli accampamenti di fortuna sorti nel nostro Paese (e che pare al centro più delle preoccupazioni di associazioni e sindacati che del governo), qui, sembra davvero pronta a esplodere.

Un primo segnale è arrivato ieri (31 marzo) davanti alla tendopoli che alloggia da anni centinaia di braccianti al margine della zona industriale di San Ferdinando. Gli ospiti sono al momento perlopiù disoccupati a causa dell’emergenza sanitaria, e costretti a sopravvivere a stento nelle tende, senza la possibilità di accedere direttamente ai più elementari strumenti di contenimento del contagio. Nei giorni scorsi, in realtà, sono state già adottate alcune misure minime. All’esterno dell’area è stata allestita una tensostruttura per isolare eventuali casi di contagio, e preparato un registro per monitorare gli arrivi dalle zone vicine – racconta Celeste Logiacco, segretaria della Cgil locale -. Sono stati anche distribuiti gel disinfettante, guanti e mascherine, ed è stata effettuata la sanificazione”.

Ieri era invece il giorno in cui la Protezione civile avrebbe dovuto installare una cucina da campo e distribuire i primi viveri. il tutto grazie a un finanziamento stanziato dalla Regione Calabria, che ha dirottato fondi europei e statali verso l’assistenza ai migranti, sia nella tendopoli di San Ferdinando che negli insediamenti informali della Piana di Sibari. La cucina, però, non è stata installata a causa dell’opposizione, anche violenta, di un gruppo di ospiti. “Si è assistito da parte di un gruppo di facinorosi, a un incomprensibile e inatteso rifiuto del servizio di mensa, accompagnato da atteggiamenti minacciosi e provocatori che invece di essere circoscritti e neutralizzati, venivano tollerati da una maggioranza silenziosa e passiva”, racconta Andrea Tripodi, sindaco di San Ferdinando. E al momento la Protezione Civile pare intenzionata a sospendere a tempo indeterminato il servizio.


L'esterno della tendopoli il 30 marzo

Oggi (1 aprile) la protesta di alcuni dei braccianti s’è ulteriormente inasprita. Circa dieci ospiti sono entrati nell’ufficio all’ingresso della tendopoli, mettendolo a soqquadro. Sono quindi intervenuti due mezzi blindati della Polizia, che hanno riportato la calma. Un episodio “sconcertante e tristissimo”, lo definisce il sindaco Tripodi, che però “testimonia la complessità del fenomeno migratorio, attraversato anche da limiti e da contraddizioni”.

Contraddizioni subito cavalcate dalla Lega. Matteo Salvini (che da ministro dell’Interno aveva sì esultato per lo smantellamento della vicina baraccopoli, ma che poi s’era dimenticato completamente della situazione della Piana ndr), non ha mancato di ritwittare un post del vicepresidente della Regione Scurlì: “I migranti rifiutano il cibo con la violenza mentre migliaia di calabresi non hanno nemmeno un euro per entrare nei supermercati”. E ha dato il via a centinaia di commenti xenofobi tesi a consolidare lo sloga “prima i calabresi”, con tanto di articolo di contorno sulla testata amica “Il Giornale”.
“Non è certo il momento della discriminazione, di strumentalizzare l’accaduto, o di aizzare gli animi – gli risponde Celeste Logiacco, che da anni si batte per risolvere i problemi dei braccianti nella Piana di Gioia Tauro -. In questa situazione di crisi, è invece necessario intervenire sui bisogni delle persone. Perché qui viviamo un’emergenza nell’emergenza continua.” Da tempo, infatti, la Cgil e le associazioni presenti sul territorio chiedono il superamento della tendopoli, “per dare dignità e sicurezza ai lavoratori”.


Dentro la tendopoli 

“Sarà necessario avviare una riflessione su quanto è accaduto, senza negare la gravità dei comportamenti – le fa eco il sindaco Tripodi -, ma determinati a evitare qualunque demonizzazione sommaria. E attenti a proteggere sempre gli ultimi e chi vive una condizione di vulnerabilità”.

“Dobbiamo trovare soluzione alle diseguaglianze – conclude allora Logiacco -. Perché sono le disuguaglianze che generano queste tensioni, oggi come sempre. In tempi di coronavirus, però, il rischio di uno scontro diventa ancora più alto. Noi continueremo a svolgere il nostro lavoro quotidiano al fianco delle istituzioni, con impegno, per assicurare le maggiori tutele possibili a queste persone. Ma abbiamo bisogno dell’aiuto del governo, perché oggi le condizioni lavorative e abitative sono diventate ancora più precarie, i migranti non hanno un reddito, vivono nella paura e in una situazione di disagio crescente”. Problemi, tra l’altro, che diventano ancora più gravi negli insediamenti informali del territorio, “dove è pure più difficile lavorare per contenere il contagio”.

Quelle che arrivano da Gioia Tauro sono insomma parole estremamente allarmate, e che assomigliano moltissimo a quelle pronunciate nei giorni scorsi in una lettera-appello inviata dalla Flai Cgil e dall’associazione Terra e indirizzata a Mattarella, Conte e ai ministri dell’interno, della salute, dell’agricoltura e del sud. I tanti ghetti e accampamenti di fortuna sorti nel nostro Paese, si legge, rischiano di diventare enormi focolai, perché “le richieste di restare a casa o lavarsi le mani, rivolte alla comunità nazionale” per molti migranti “sono chimere, perché sopravvivono in immense distese di catapecchie senza acqua né servizi igienici”. Un appello simile è stato lanciato anche da Cgil, Cisl e Uil, che hanno chiesto “l’allestimento o la requisizione di immobili” per accoglierli.

“Siamo preoccupati - ha detto poi oggi il segretario confederale della Cgil Giuseppe Massafra - per tutti quei migranti che, nel nostro Paese, lavorano in agricoltura, in edilizia, nei servizi di cura, nel settore della logistica, che abitano nelle tendopoli, nei ghetti, nei quartieri periferici delle nostre città e che continuano ad essere invisibili”. “Questa situazione si abbatte pesantemente - sottolinea Massafra - sulle già precarie condizioni dei migranti e rischia di sfociare in episodi diffusi di tensione sociale, come sta accadendo in queste ore nella tendopoli di San Ferdinando”.

Insomma, il pericolo di tensioni è davvero grande, e non solo nella Piana di Gioia Tauro. Quello che sta succedendo alla tendopoli, infatti, pare davvero la prima avvisaglia concreta di una tensione non troppo nascosta ma quasi dimenticata, e che potrebbe deflagrare da un momento all’altro.