Il prelievo delle addizionali comunali e regionali all'Irpef nasce come avente una portata “accessoria” rispetto all'Irpef nazionale. Non a caso si chiamano addizionali. Tuttavia, il meccanismo tecnico di applicazione, la generale diminuzione dei redditi e soprattutto la concentrazione di redditi bassi in precise zone del nostro Paese (il Mezzogiorno) hanno finito per creare meccanismi di estrema ingiustizia e da più parti si sente parlare della necessità di una riforma complessiva dell'imposizione sui redditi personali. All'interno della riforma sarà della massima importanza – e citiamo la piattaforma unitaria Cgil, Cisl e Uil – “rivedere in maniera organica la tassazione locale”.

Una nota stampa della Cgil Calabria ha messo in luce nei giorni scorsi una particolare caratteristica delle addizionali che porta alcune categorie di contribuenti, peraltro molto deboli e ampiamente diffuse nella regione, a pagare addizionali maggiori rispetto all'Irpef nazionale. Sono purtroppo assai numerosi, in Calabria, lavoratori con remunerazione bassa e lavori discontinui, specie nei settori del turismo e dell'agricoltura; bassi redditi che si ripercuotono, chiaramente, anche sull'importo degli assegni pensionistici.

Ebbene, tanto da lavoratori quanto da pensionati, il loro reddito, comprensivo di eventuali indennità di disoccupazione, presenta importi di poco superiori alla soglia di esenzione fiscale. Superata detta soglia (tra gli 8 mila e i 10 mila euro, a seconda della natura del reddito) prevista per l’imposta nazionale, finiscono con il subire una tassazione che, a differenza dell’Irpef, non prevede alcuna detrazione e vengono tassati su tutto il reddito prodotto.

Esistono in pratica contribuenti che pagano, per fare un esempio, 15 euro di Irpef nazionale e 250 euro di addizionali regionali e comunali. Questo perché, mentre le detrazioni sono pensate per accrescere la progressività, le soglie di esenzione fanno scattare quelle che si chiamano “trappole di povertà”, per cui all'aumentare del reddito lordo anche di pochi euro diminuisce il netto, fino a renderlo più basso di quello di chi guadagna un reddito lordo inferiore.

Con buona pace per la progressività, nei fatti, le imposte comunali determinano aliquote marginali effettive superiori per i soggetti meno abbienti. Questa situazione paradossale, già di per sé discriminante nelle regioni e nei comuni dove non viene applicata alcuna progressività delle aliquote, è ancora più penalizzante nella fascia dei redditi bassi, vicini alla soglia di esenzione, in una casistica di contribuenti, tra dipendenti e pensionati, piuttosto ragguardevole in Calabria e in tutto il Mezzogiorno.

Non abbiamo problemi a comprendere l’importanza della fiscalità locale come strumento imprescindibile al sostegno dei bisogni e dei servizi fondamentali per i cittadini, ma non si può disattendere il principio Costituzionale sancito dall’articolo 53, che stabilisce il concorso alla spesa pubblica in ragione della propria capacità contributiva. Non solo. Nei comuni scarsamente popolati, fino a 5 mila abitanti, a un carico erariale pro-capite eccessivo rispetto ai comuni più grandi si assomma la beffa di avere minore qualità dei servizi a causa dei mancati risparmi di scala.

Una delle parole d'ordine nella parte fiscale della piattaforma unitaria dei sindacati confederali è proprio progressività. Gli interventi annunciati in questi giorni vanno in direzione contraria. Tuttavia, il maggior problema, a quasi 50 anni dalla grande riforma tributaria, è la stratificazione e la sedimentazione degli interventi – ahinoi, spesso operati con visione di breve periodo –, che hanno reso il nostro sistema non più modificabile da piccoli aggiustamenti. È ormai più che urgente una riforma complessiva, che non può ignorare le ricadute sulla fiscalità locale.

Si devono mettere in grado gli enti locali, Regioni e Comuni, di rideterminare la leva della fiscalità locale, anche lasciando invariato il gettito, ma modulando qualitativamente la capacità contributiva pro capite, permettendo l'introduzione di fasce di esenzione e detrazioni. Il fisco locale è ora invece ingabbiato da norme quadro che lasciano alle amministrazioni spazi di manovra entro cui può operare, producendo ingiustizie anche macroscopiche (si pensi anche alla questione dell'Imu ai non residenti/non votanti).

Una riforma organica va quindi costruita anche dal basso, coinvolgendo parti sociali, enti territoriali, esperti, provando a determinare anche il necessario cambiamento del quadro comunitario, per intervenire sulle crescenti diseguaglianze sociali e territoriali, e reperire le risorse per gli investimenti e la crescita occupazionale nel modo più giusto ed efficiente.

Cristian Perniciano, politiche fiscali, economia e finanza pubblica Cgil nazionale; Luigi De Nardo, dipartimento economico e fiscale Cgil Calabria