Ancora di incerta attribuzione il Missouri, con la North Carolina – stato che non votava per un candidato democratico alla presidenza dal 1976 - Obama è arrivato a 364 grandi elettori. Non una valanga – come accaduto con Reagan, Nixon e Roosevelt, capaci di umiliare i propri sfidanti lasciandoli soli con i loro non più di venti grandi elettori – ma un risultato solo lievemente peggiore di quello dell’ultimo presidente democratico, Bill Clinton, che nel 1992 arrivava a quota 370 con una prestazione però molto inferiore nel voto popolare di quella assicurata dall’ormai ex senatore dell’Illinois. Ora quasi definitivamente chiusasi la guerra dei numeri – che occorrerà però analizzare in profondità, per comprendere da chi è composta questa nuova vincente coalizione democratica – ed esauritasi una lunga campagna, si apre una almeno meno lunga transizione.

Mentre i media si scatenano nel trattare qualsiasi aspetto della futura vita quotidiana della famiglia presidenziale – a partire dal cucciolo promesso da Obama alle sue due figlie e la scelta della scuola che frequenteranno nella capitale, nota per le sue pessime scuole pubbliche – il presidente eletto si concentra nella composizione del suo futuro gabinetto. A partire dall’onnipotente Capo dello Staff Presidenziale. Obama ha scelto per questo ruolo una personalità che ad alcuni dei suoi sostenitori può parere controversa.

Biografia di Emanuel: dai consumatori alla Casa Bianca. E poi ancora alla Casa Bianca
Rahm Emanuel è un’assai navigato membro della House of Representatives. Un Chicagoan come il Presidente eletto, Emanuel ha una biografia piuttosto straordinaria. Comincia la sua carriera lavorando in un’organizzazione di difesa dei consumatori, per poi passare a ruoli di primo piano nella campagna democratica per le elezioni del Congresso nel 1988 e poi in quella per l’elezione a sindaco di Chicago del potente Richard O’Daley, figlio di un ancor più potente O’Daley, sindaco della metropoli del Midwest per decenni e capo di una delle più formidabili political machine che il paese ricordi. Nel 1992 lavora alla campagna di Bill Clinton concentrandosi nel fund-raising, che arrivò alla cifra – allora record – di 72 milioni di dollari. Fra il 1993 ed il 1998, diventa poi un assai influente consigliere del Presidente, dedicandosi a grandi progetti dal successo variabile come la nascita dell’area di libero scambio nordamericano (Nafta) e il fallito piano per l’introduzione della copertura sanitaria universale.

Tornato alla politica nel 2002 quando viene eletto al Congresso in rappresentanza dell’Illinois, Emanuel è considerato uno degli architetti della vittoria dei democratici alle elezioni parlamentari di due anni fa. Uno dei capitoli più interessanti della sua biografia è quello dei suoi legami molto stretti con Israele. Figlio di un membro dell’Irgun, un’organizzazione militare nazionalista israeliana, durante la campagna delle primarie è stato il tessitore del rapporto fra Obama e l’Aipac - American Israel Public Affairs Committee - un’assai influente organizzazione filo-israeliana formata da democratici, repubblicani e indipendenti. Nonostante il suo impegno di lungo corso per la copertura sanitaria universale e le sue posizioni molto liberal in tema di aborto, Emanuel ha una fama non solo di pragmatico ma anche di centrista. Una fama che, seppur poco visibilmente, ha scontentato più di un democratico, nell’ala del partito più fedele ad un’interpretazione letteraria e totalizzante del messaggio di cambiamento al centro della campagna presidenziale.

Obama ha dichiarato che dietro la sua scelta stanno l’urgenza dell’affrontare la crisi economica e finanziaria del paese. La scelta di Rahm Emanuel discenderebbe “dalla sua grande familiarità con le grandi sfide economiche che saranno al centro dell’azione della nuova amministrazione”. “Annuncio la sua nomina – ha continuato Obama - perché questa carica è centrale nella capacità di un presidente di realizzare l’agenda della sua amministrazione. Nessuno che io conosca è più capace di lui di portare le cose a compimento”.

Quella di Chief of Staff è considerata una delle posizioni di più alto livello nella capitale federale. Generalmente coinvolto in tutte le più rilevanti decisioni del presidente, il capo dello staff si occupa di assicurare che la volontà del presidente sia adeguatamente trasferita all’insieme dell’amministrazione e del Congresso che, in questo caso, vede una maggioranza dello stesso colore dell’occupante della Casa Bianca. Una scelta che pare non aver entusiasmato la minoranza repubblicana – seppure non in modo unanime - che vede nella nomina di Emanuel una scelta di parte del tutto incoerente con l’enfasi anti-partigiana della campagna condotta da Obama. In questo caso, i repubblicani si riferiscono non semplicemente al suo scontato colore politico quanto al suo aggressivo stile parlamentare.

L’economia al primo posto
Con dati sempre più sconfortanti in arrivo dalle borse e da un mercato del lavoro in vistosa contrazione, Obama intende concentrarsi da subito sulle questioni economiche. Prima del suo primo incontro con il Presidente Bush previsto per lunedì prossimo, Obama presiederà venerdì la prima riunione del suo economic advisory board nel quale siedono oltre a Warren Buffett; gli ex segretari al tesoro Summers e Rubin, l’ex capo della Federal Reserve, Volcker, l’amministratore delegato di Google, Eric E. Schmidt, il sindaco di Los Angeles ed il Governatore del Michigan. Oggetto della riunione sarà probabilmente l’idea di un pacchetto di misure a sostegno dell’economia da approvare al Congresso nel pieno della fase di transizione, ancor prima che Obama si trasformi da presidente eletto a presidente in carica.

L’idea che Obama avrebbe già discusso con esponenti della maggioranza democratica al Congresso è quella di un primo intervento di circa cento miliardi di dollari che dovrebbe includere un aumento delle indennità di disoccupazione e delle tessere alimentari per le famiglie indigenti (i cosiddetti food stamps), aiuti finanziari a stati ed amministrazioni locali e consistenti investimenti in nuovi progetti infrastrutturali. Il secondo intervento, la cui approvazione potrebbe arrivare in gennaio, si annuncerebbe di dimensioni più ampie, contenendo i tagli fiscali per i redditi medi e bassi al centro della campagna di Obama. Un insieme di interventi dal sapore rooseveltiano, anche a giudicare dalle parole dello stesso Emanuel secondo cui “non occorre sprecare le occasioni offerte da una crisi per fare cose che viceversa non potresti fare”. La grande incognita, ovviamente, non è la disponibilità della maggioranza congressuale a sostenere le proposte di Obama – nonostante diversi democratici abbiano già invocato uno stile più cauto e dimesso nel corso della transizione - ma la firma del presidente in carica. Una crisi sempre più profonda costringerà forse il paese ad una fase di transizione più intensa del consueto.