Esiste un contraltare alla Velikaja Rossija (Grande Russia) di epoca zarista che Vladimir Putin vorrebbe ricostruire riunendo in una sola entità il popolo russo, quello bielorusso e quello ucraino: è la grande Russia della solidarietà di diverse organizzazioni di volontari, fondate all’estero da bielorussi e russi per aiutare gli ucraini durante questa guerra. Un appoggio fraterno e solidale di strategica importanza è quanto si è concretizzato però all’interno della Bielorussia, attraverso quella che è stata definita una “guerra ferroviaria”.

Quando il 4 marzo l’Unione internazionale delle ferrovie ha comunicato di aver escluso gli enti ferroviari statali russo e bielorusso da tutte le attività dell’associazione, esprimendo al contempo pieno appoggio alla consociata ucraina, i ferrovieri bielorussi avevano già da giorni dato prova di una solidarietà senza compromessi, mettendo in atto la loro “guerra partigiana” di sabotaggio alle infrastrutture del proprio paese, per impedire il trasporto di truppe, munizioni e rifornimenti all’esercito russo che invadeva l’Ucraina. 

Ne offre documentazione il canale Telegram di “Live. Comunità dei ferrovieri bielorussi” che, creato nell’agosto 2020, a ridosso delle manifestazioni di protesta di massa seguite alla rielezione di Lukašenko, vanta un bacino attuale di più di settemila sottoscrittori.

Se prima della guerra il canale pubblicava materiale sui licenziamenti illegali e le riduzioni dei dipendenti delle ferrovie bielorusse, o su gravi casi di violazione della sicurezza del traffico ferroviario e di contrabbando avvenuto con la complicità dei dirigenti delle ferrovie, l’inizio del conflitto vede la Comunità fare propri gli appelli di altri attivisti a “riunire i bielorussi che lavorano e non supportano l’aggressione militare” e a concertare “azioni congiunte” per “prevenire la morte dei bielorussi, o la morte per mano dei bielorussi, in una guerra fratricida inventata da due idioti!”.

Non ci si limita, però, né agli appelli alla mobilitazione, né agli avvertimenti, prontamente lanciati contro “coloro che portano direttamente la morte in Ucraina" e contro "gli equipaggi delle locomotive che hanno guidato, trasportato e non interromperanno la loro partecipazione al trasporto di equipaggiamento militare, armi e munizioni dalla Russia ai confini meridionali della Bielorussia!”.

“Non puoi nasconderti dietro la frase: ‘sto solo facendo il mio lavoro!’”, viene detto “a coloro che dal 24 febbraio trasportano squadroni militari e continuano a farlo”; e ancora, “gli elenchi di tutti i complici (indipendentemente dalle opinioni e convinzioni politiche) saranno presto pubblicati e in futuro verranno utilizzati come prova inconfutabile di crimini di guerra”. I ferrovieri della comunità rivendicano di avere a “disposizione tutti i documenti relativi al trasporto di squadroni militari sul territorio della Bielorussia”, e non tardano a farne uso.

Iniziando con un colorito “Treno russo, vai a farti fottere!”, in risposta alla richiesta dell’ente ferroviario russo di aiutare a ripristinare le comunicazioni, dopo che le truppe ucraine hanno fatto saltare gli snodi con la Federazione Russa, i primi attacchi al sistema ferroviario documentati dal canale Telegram sono di tipo informatico: lo scopo è rallentare il trasferimento delle truppe di occupazione e dare agli ucraini più tempo per respingere l'attacco. La rete di computer delle ferrovie è al collasso ed entra in modalità di controllo manuale, che rallenta notevolmente la circolazione dei treni ma, volutamente, non crea situazioni di emergenza.

I “partigiani ferroviari” ricordano però a tutti che è anche possibile svolgere azioni sul terreno, anticipando così l’accorato appello che l’11 marzo Oleksandr Kamyshin, capo di Ukrzaliznytsia, l’ente ferroviario ucraino, rivolge ai bielorussi “onesti”, chiedendo di fare tutto ciò che è possibile, con le parole e con l’azione, per fermare l’avanzata delle truppe, anche di quelle bielorusse. “Se sei un ferroviere, non eseguire un ordine criminale, sabotalo. Non portare equipaggiamenti e truppe ai confini con l'Ucraina. Se sei un colcosiano, metti i tuoi trattori sui binari della ferrovia, non farli passare”.

Detto, fatto. Con cadenza regolare, si susseguono cortocircuiti, incendi ai quadri elettrici di segnalazione che interrompono il funzionamento dei semafori e degli scambi, furti di trasformatori dagli armadi di controllo elettrici, eccetera che costringono i treni, nel migliore dei casi, a viaggiare ad una velocità di 15-20 chilometri orari. In un caso, la circolazione dei treni passeggeri e merci è stata interrotta dallo scontro di un convoglio con il rimorchio di un trattore; nessuno è rimasto ferito, ma con rara ironia il rimorchio era carico di... letame!  

Tali azioni mettono in crisi, quando non li vanificano, i tentativi di aggirare i sabotaggi, attraverso l’uso di comuni treni merci per quelli che, in realtà, sono convogli militari. Il Kgb bielorusso si dichiara “preoccupato" di non poter fornire garanzia al 100% sulla sicurezza del movimento dei militari e protezione contro la fuga di dati relativi agli orari dei movimenti stessi. In effetti, il 19 marzo Oleksandr Kamyshin può attestare la mancanza di comunicazioni ferroviarie tra la Bielorussia e l'Ucraina e ringraziare i ferrovieri bielorussi, pur rifiutando di fornire alcun dettaglio in merito. I ferrovieri, inoltre, ritirano gratuitamente i carichi umanitari inviati dalla Germania, in un’azione denominata “Ponte ferroviario per l’Ucraina”, con destinazioni in Ucraina che, per motivi di sicurezza, non sono rese note. 

Il regime risponde ai sabotaggi con l’uso di forze speciali delle truppe interne per il controllo dei binari e delle infrastrutture, soprattutto a sud, nelle regioni di Gomel e Brest, e con il licenziamento su larga scala dei dipendenti “inaffidabili” tra coloro che lavorano con documenti a distribuzione limitata o sono legati all'organizzazione del traffico ferroviario. 

La decisione del Kgb bielorusso, il 21 marzo, di classificare la Comunità dei ferrovieri della Bielorussia come formazione "estremista" non ferma i sabotaggi. I controlli vengono però intensificati e alcuni “partigiani ferroviari” vengono catturati. Secondo l’organizzazione per i diritti umani “Vjasna”, almeno otto persone sono ora detenute con l’accusa di terrorismo e rischiano fino a 15 anni di carcere. Gli ultimi tre attivisti arrestati hanno, secondo il ministero dell’Interno, tentato di fuggire (!) durante l’arresto e sono stati feriti dalla polizia. Il sito Zerkalo riporta anche la notizia della detenzione di oltre 40 ferrovieri, 38 dei quali si dichiarano “pentiti” in video apparsi sui canali Telegram filogovernativi. Ma la guerriglia non si ferma.