I parlamentari europei si mobilitano per i prigionieri di coscienza in Egitto
Le Monde, 22 ottobre 2020

Nella lettera aperta resa nota mercoledì 22 ottobre, 222 parlamentari europei chiedono al presidente Abdel Fattah Al Sisi di liberare tutti gli oppositori politici, difensori dei diritti umani e voci critiche, detenuti arbitrariamente nelle carceri egiziane, con rischi per la salute aggravati dalla pandemia da Covid-19. Una lettera simile è stata inviata da 56 parlamentari del Congresso americano al presidente egiziano. “L’indifferenza delle autorità egiziane sta diventando sempre più pesante di fronte alle continue critiche contro le violazioni dei diritti umani e gli attacchi contro gli oppositori politici”, commenta il parlamentare europeo Vert Mounir Satouri. “Dal suo arrivo al potere nel 2014, il presciente Sisi ha criminalizzato ogni organizzazione e libertà di espressione politica. L'Unione europea ha continuato a sostenere l'Egitto, anche finanziariamente, come se il problema dei diritti umani non esistesse”, continua il parlamentare francese, relatore speciale sull'Egitto presso la Commissione per gli affari esteri del Parlamento europeo. Nell'ottobre del 2019, Bruxelles aveva già attaccato Il Cairo per il deterioramento della situazione dei diritti umani e aveva chiesto di “rivedere profondamente” le relazioni dell'Europa con l'Egitto. Migliaia di prigionieri di coscienza marciscono in prigione, spesso trascorrendo due anni in detenzione cautelare.

Situazione critica
82 parlamentari europei hanno firmato questa lettera, insieme ai parlamentari di sette Paesi europei, Francia, Germania e Italia, alleati strategici del Cairo, mentre la repressione si intensifica. In Francia, ottanta firmatari, dei quali 66 parlamentari, per la metà appartenenti alla maggioranza presidenziale, si sono uniti all'appello. “Avrebbe potuto esserci una svolta in una situazione di Covid, ma l'Egitto non ha colto l'occasione di liberare persone che versano in cattive condizioni di salute e si trovano in detenzione amministrativa”, esprime con rammarico la parlamentare di La République En Marche, Mireille Clapot, della Commissione per gli affari esteri all'Assemblea nazionale.
Una decina di parlamentari, sensibilizzati dal caso del militante politico Ramy Shaath, arrestato nel luglio del 2019, la cui moglie, cittadina francese, Céline Lebrun-Shaath, è stata espulsa dall'Egitto, hanno manifestato nel dicembre del 2019 in favore dei difensori dei diritti dei prigionieri. A gennaio, 66 parlamentari e parlamentari europei francesi hanno firmato un appello, pubblicato da Le Monde, per chiedere la loro liberazione. Oggi, i firmatari della lettera aperta ribadiscono l'appello di liberare tutti i prigionieri di coscienza, dei quali nominano una ventina. “Il sovrappopolamento estremo e il mancato accesso alle cure mediche nei luoghi di detenzione e nelle prigioni hanno creato una situazione drammatica, e sono emerse informazioni che arrivano sui contagi di Covid-19 tra il personale carcerario”.  La pandemia del Covid-19, che, in base ai dati ufficiali, ha provocato in Egitto la morte di 6.142 persone, ha reso la situazione critica. I firmatari lamentano il rifiuto delle autorità di procedere alla liberazione eccezionale di persone raccomandate dall'Organizzazione Mondiale della Sanità, e le restrizioni ulteriori imposte ai detenuti ed alle loro famiglie. Dal mese di marzo al mese di agosto, i prigionieri sono stati privati della possibilità di incontrare i loro parenti. Céline Lebrun-Shaath ha avuto il diritto di fare due telefonate, ma non è mai stata autorizzata ad andare a trovare suo marito, nonostante Parigi avesse fatto pressione. “La forte mobilitazione dei parlamentari è confortante. Speriamo che le autorità egiziane ascoltino l'appello”. È stato confermato almeno un decesso per SARS-CoV-2 in stato di detenzione, si tratta del giornalista Mohamed Mounir.

Nuova ondata di arresti
Inoltre, i parlamentari chiedono al Cairo di porre fine alle rappresaglie esercitate nei confronti dei difensori dei diritti umani che sostengono le loro cause, come Bahey Eldin Hassan. Esiliato in Francia dal 2014, ad agosto il direttore dell'Istituto del Cairo per lo studio dei diritti umani è stato condannato in contumacia a quindici anni di prigione per essersi dichiarato in favore dei diritti umani. “Un numero crescente di prigionieri di coscienza sono accusati con accuse false di terrorismo, come i medici che hanno criticato la gestione del Covid–19 da parte delle autorità egiziane”.A partire dal 20 settembre, una nuova ondata di arresti, sarebbero 900 secondo la Commissione per i diritti e le libertà in Egitto, va a caccia di coloro che hanno sfidato il potere nelle manifestazioni contro il deterioramento della situazione socioeconomica e per celebrare l'anniversario di una manifestazione contro Sisi, tenuta nel 2019, con oltre 4.000 interrogatori."La caterva di pressioni dei Paesi partner, che fanno pressione sull'Egitto, un giorno porterà a dei risultati", è convinto Bahey Eldin Hassan. Secondo lui, il deterioramento della situazione socioeconomica indebolisce la tesi presentata dal presidente Sissi all'Europa e agli Stati Uniti, secondo cui egli è "il garante della stabilità in Egitto e di conseguenza dell'Unione Europea, agitando la minaccia dei migranti".  Mentre i parlamentari europei chiedono una posizione dura nei confronti dell'Egitto, la mobilitazione dei membri del Congresso degli Stati Uniti, 55 democratici e il senatore indipendente Bernie Sanders, avvertono che le relazioni con l'Egitto, che riceve 1.3 miliardi di dollari (1.1 miliardi di euro) in aiuti militari annuali, potrebbero essere riviste in relazione al rispetto dei diritti umani.

Per leggere l'articolo originale: Des parlementaires européens se mobilisent pour les prisonniers d’opinion en Egypte

 

Il trionfo del partito di Evo Morales in Bolivia dà ossigeno alla sinistra latino-americana
El Pais, 21 ottobre 2020

Il ritorno al potere del partito dell'ex presidente Evo Morales in Bolivia ridisegna la mappa degli equilibri politici in America Latina. Nonostante il Paese, con circa 11 milioni di abitanti e una dimensione dell'economia molto modesta rispetto ai suoi vicini, non abbia un peso sufficiente per provocare una scossa nella regione, il trionfo dell'ex ministro Luis Arce ha una grande portata simbolica. La sua vittoria ridefinisce le alleanze e dà ossigeno ai progetti della sinistra.Le elezioni generali tenutesi domenica, dopo quasi un anno di governo provvisorio, hanno restituito il controllo al Movimento al Socialismo (Mas). E se questa formazione ha potuto vincere senza Morales e il suo ex vicepresidente, Alvaro Garcia Linera, entrambi esiliati in Argentina, le elezioni sono state in qualche modo un plebiscito sull'ex presidente deposto nel 2019 per accuse di frode.

Uno dei messaggi diffusi dal leader indigeno sui social media dopo aver appreso i primi risultati è una fotografia di queste alleanze, che comprende nomi con esperienze a volte radicalmente diverse, ma che hanno un denominatore comune: la loro opposizione al blocco conservatore in Sud America, guidata da Jair Bolsonaro e Ivan Duque. "Oltre alle persone, mi hanno salvato la vita diversi presidenti ed ex presidenti", ha detto Morales prima di ringraziare Alberto Fernandez  in Argentina, Andres Manuel Lopez Obrador in Messico, Miguel Diaz-Canel a Cuba o Nicolas Maduro in Venezuela. I primi due presidenti sono stati fondamentali nel novembre dello scorso anno, quando le forze armate boliviane costrinsero Morales a dare le dimissioni, al potere da 14 anni, e accelerarono la sua uscita dal Paese. Morales andò prima in Messico e poi si stabilì in Argentina, dove è rimasto da allora. Lunedì sera ha cenato con Fernandez, che non ha esitato a descrivere gli eventi che hanno sconvolto la Bolivia come un “colpo di stato”. Gli altri presidenti si sono pronunciati usando termini simili.

Tra il presidente argentino o Lopez Obrador e, per esempio, Maduro c'è un abisso. Il Venezuela è intrappolato da anni in una crisi istituzionale ed economica senza precedenti e la gestione del regime bolivariano, che si trova sotto assedio per le sanzioni dell'amministrazione di Donald Trump, ha causato, secondo le Nazioni Unite, l'esodo di quasi cinque milioni di persone. Tuttavia, diversi politici dell'opposizione un anno fa hanno visto l'uscita di Evo Morales come una sorta di piano o modello di transizione verso un governo del cambiamento. Il presidente dell'Assemblea nazionale venezuelana, Juan Guaido, non ha avuto dubbi a lodare l'esempio di quanto accaduto. Nella conversazione avuta con Jeanine Anez, presidente ad interim della Bolivia, è arrivato al punto di affermare: “Siamo ispirati da te, dall'esempio della figlia prediletta del liberatore, dalla forza che hai dimostrato, soprattutto all'attaccamento alla Magna Carta e a guidare una transizione. Il suo esempio è un uragano di democrazia per liberare il Venezuela, ma anche il Nicaragua e Cuba”. Questa posizione ha suscitato sospetti nei settori più moderati dell'opposizione venezuelana. Inoltre, il parallelismo tra il progetto politico del Movimento al Socialismo e la deriva del chavismo non è sostenibile. Il leader indigeno ha commesso l'errore di non rispettare il risultato del referendum sulla sua rielezione a tempo indeterminato, perso nel 2016, e ha deciso di candidarsi di nuovo alle elezioni, provocando una crisi di legittimità. Ciononostante, la sua gestione economica non consente di fare confronti con il disastro economico subito da milioni di venezuelani.

In ogni caso Maduro, sempre più solo nello schiacchiere internazionale, ha approfittato della vittoria di Arce per alzare la voce e lanciare un avvertimento ai suoi avversari. "La Bolivia e il Venezuela sono uniti nella lotta storica che dura da secoli e non è ancora finita". Il successore di Hugo Chavez, che ha convocato le elezioni parlamentari a dicembre nonostante la maggior parte delle forze di opposizione abbiano annunciato che non parteciperanno per mancanza di garanzie, ritiene che "il popolo boliviano si sia unito e abbia sconfitto consapevolmente il colpo di stato con il voto".Ci sono altri nomi nell'elenco dei ringraziamenti di Morales. L'ex presidente del governo spagnolo José Luis Rodríguez Zapatero, ancora molto attivo in America Latina con la sua partecipazione alle iniziative del “Gruppo de Puebla”, l'ex presidente brasiliano Luiz Inácio Lula da Silva, l'ecuadoriano Rafael Correa e il colombiano Ernesto Samper. Tutti loro sono stati molto critici nei confronti delle azioni dell'Organizzazione degli Stati americani (OAS) e del suo segretario generale, Luis Almagro. Il ritorno del Movimento al Socialismo rappresenta un duro colpo alla sua strategia dopo le elezioni del 2019 e la denuncia di frode dell'organismo multilaterale che servì ad innescare la crisi. La verifica dei risultati elettorali da parte dell'Oas è stata messa in discussione da altri studi. Il risultato finale, un anno dopo e con un tribunale elettorale rinnovato, è stato un risultato migliore per il partito di Morales.

Per leggere l'articolo originale: El triunfo del partido de Evo Morales en Bolivia da oxígeno a la izquierda latinoamericana

 

Joe Biden avrà bisogno di un team economico a sostegno dei lavoratori
Financial Time, 19 ottobre 2020

Mancano ancora due settimane prima delle elezioni presidenziali negli Stati Uniti, ma i democratici si sentono abbastanza ottimisti da iniziare a parlare di come potrebbe essere un governo di Joe Biden. Gran parte delle conversazioni si sono concentrate sulle questioni attinenti alla razza e alla differenza di genere. Ma i democratici dovrebbero assegnare altrettanta attenzione alle differenze economiche e politiche, perché il prossimo presidente avrà bisogno di un team altamente composito per gestire un problema molto complesso: come ridurre lo storico divario tra le fortune delle aziende americane e i lavoratori.

È diventato pressoché un cliché discutere della divisione tra Wall Street, dove i prezzi degli asset continuano a restare a livelli storicamente alti, e l'economia reale degli Stati Uniti, dove il calo del 31% del Pil ha raggiunto nel secondo trimestre proporzioni che ricordano la Depressione. Allo stesso tempo, i dati aggregati sulla disoccupazione dolorosamente elevati mascherano persino i livelli più alti della disoccupazione di alcuni tipi di lavoratori. Anche se tutti noi possiamo comprendere i motivi fondamentali del problema, ci sono dati nuovi e inquietanti che mostrano quanto si siano separati i mercati finanziari da Main Street. Affrontare questa separazione richiede di ripensare la politica quasi in ogni settore del governo, dal tesoro al commercio, al lavoro e all'educazione.

Una nuova ricerca condotta dalle università dello stato dell'Ohio e di Pittsburgh mostra, ad esempio, che le aziende quotate in borsa negli Stati Uniti contribuiscono molto meno ai livelli occupazionali o al Pil rispetto agli anni Settanta. E questo per molte ragioni. Ma un punto centrale è che le fortune del Paese, le sue aziende e i suoi lavoratori, sono molto meno interconnesse rispetto a quando le grandi aziende quotate in borsa operavano nel settore industriale e manifatturiero piuttosto che nei servizi, come avviene ora. Questo è diventato ancora più vero con il passaggio all'economia ad alta tecnologia. La quota di aziende tecnologiche che, come percentuale della capitalizzazione del mercato era del 32.8% alla fine del 2019 ed è  passata ad oltre il 40% nel secondo trimestre del 2020, rappresenta soltanto il 16.3% dell'occupazione totale tra le aziende quotate in borsa, e meno del 5% dell'occupazione privata totale non agricola. Come afferma il coautore dello studio, René M. Stultz, "possono sorgere valutazioni importanti per ragioni molte diverse, ma molte di queste ragioni non hanno nulla a che fare con l'attuale contributo economico delle aziende". Questo spiega il motivo per cui l'abitudine del presidente Donald Trump di equiparare i prezzi delle azioni al benessere economico, sebbene sia utile per i conti pensionistici (401K), è così grossolanamente fuorviante (il 10% delle famiglie possiede l'84% delle azioni).

Come gli investitori sanno, la natura al rialzo dei mercati odierni ha fatto sì che negli ultimi anni le notizie "buone", come un'economia più forte, siano state spesso notizie "cattive" per i prezzi delle azioni, che tendono a scendere se c'è un'indicazione che le banche centrali staccheranno la spina ai tassi bassi e all'allentamento della politica monetaria. Questo è uno dei motivi principali alla base dei prezzi alti degli asset di oggi. Questo spiega il motivo per cui Biden ha assolutamente ragione quando dice che abbiamo bisogno di iniziare a premiare "il lavoro e non la ricchezza". Ma gli slogan sono una cosa, e i cambiamenti del paradigma economico un'altra. I cambiamenti che si renderanno necessari per raddrizzare la classifica non sono incrementali ma sistemici. Dopo più di quarant'anni, la crescita finanziata attraverso una politica monetaria espansiva si è esaurita. Quello che serve ora è un grande stimolo fiscale per superare i mesi e gli anni che seguiranno.Inoltre, esiste giustamente una crescente preoccupazione per il debito. Se è vero che la mancata approvazione di un altro piano di misure di stimolo a breve termine riguarda più la politica pre-elettorale che le vere preoccupazioni sulla situazione finanziaria americana, è anche vero che, per la prima volta dalla Seconda guerra mondiale, gli Stati Uniti si stanno avvicinando a un rapporto debito pubblico/Pil di quasi il 100%. Questo va bene finché i tassi di interesse restano bassi e il dollaro resta la valuta della riserva globale. Ma non credo che il privilegio del dollaro duri per sempre, in parte a causa della buona volontà e della fiducia internazionale che è stata compromessa dall'amministrazione Trump (che ha, inoltre, fatto salire il debito nazionale più velocemente di qualsiasi predecessore democratico).

Se il settore pubblico si indebiterà ulteriormente, dovrà, in teoria, essere un debito produttivo, uno stimolo fiscale che crei posti di lavoro nel breve termine e spinge gli investimenti nel lungo termine verso aree strategiche ad alta crescita come la tecnologia pulita. Il piano di stimolo fiscale multimiliardario di Biden, che si collega al cambiamento climatico, alle infrastrutture e agli investimenti in capitale umano, potrebbe fare le due cose. Eseguito correttamente, non sarebbe nemmeno incrementale. Stiamo parlando di rimodellare l'intera economia statunitense, e questo richiederà non solo un team di tecnocrati volenterosi e competenti, ma di veri dirigenti dotati di potenziale politico per guidare il cambiamento. Questo significa che la senatrice del Massachusetts, che possiede volontà e capacità per ri ancorare il settore finanziario all'economia reale, dovrebbe andare al Tesoro, e, forse, l'ex sindaco della città di New York, Michael Bloomberg, al dipartimento del commercio, per elaborare un piano nazionale per la competitività in un mondo in cui abbiamo bisogno di una più stretta collaborazione tra datori di lavoro, educatori e lavoratori. Biden ha detto che, se verrà eletto, sarà un presidente di transizione che fungerà da ponte verso una generazione di leader più giovani. Se questo sarà vero, non avrà nulla da perdere se si atterrà alla sua visione economica e sceglierà una squadra veramente composita per realizzarla.

Per leggere l'articolo originale: If elected US president, the Democratic candidate should focus on bridging a historic divide

 

I populisti della destra scommettono su altri quattro anni di Trump alla Casa Bianca
The Guardian, 19 ottobre 2020

A Budapest, il primo ministro di estrema destra ungherese, Viktor Orban, dice di “fare il tifo per un'altra vittoria per Donald Trump". A Rio de Janeiro, Jair Bolsonaro è stato immortalato con un cappello della campagna elettorale di Trump per il 2020.  I politici nazionalisti di destra nel mondo stanno abbandonando la solita etichetta diplomatica di fare scommesse prima delle elezioni straniere e stanno, invece, sostenendo con decisione Trump nelle elezioni degli Stati Uniti di novembre, nella speranza che possa influenzare i sondaggisti per la seconda volta e ottenere un mandato alla Casa Bianca per altri quattro anni. Mentre i sondaggi suggeriscono che una grande maggioranza della popolazione mondiale disapprova Trump, i movimenti ribelli di estrema destra temono il ritorno della solita geopolitica se Trump dovesse lasciare la Casa Bianca.

"Conosciamo molto bene la politica estera delle amministrazioni democratiche statunitensi, edificata sull'imperialismo morale", ha scritto in un recente saggio Orban, che si è classificato come il principale sostenitore europeo della "democrazia illiberale". “L'abbiamo provata, anche se costretti. Non ci è piaciuto e non ne vogliamo una seconda." L'avversario di Trump, Joe Biden, ha detto la scorsa settimana che "tutti i criminali nel mondo" si sono ispirati a Trump, nominando i governi in Ungheria e Polonia e attirandosi  una risposta furiosa dei funzionari ungheresi. Per Orban e altri leader nazionalisti potrebbero esserci benefici politici concreti con un secondo mandato di Trump, ma l'attrattiva più grande sarebbe l'incommensurabile vantaggio psicologico di avere un politico come Trump a ricoprire l'incarico più importante del mondo. Se vincesse Biden, potrebbe essere il segnale che il momento dei populisti è finito.

Secondo il professore di relazioni internazionali presso la Central European University, Erin Kristin Jenne, "Sarebbe un grave fallimento del nazionalismo populista come ideologia di governo, soprattutto in un momento in cui le società cercano leader competenti che possano guidare i loro paesi nella crisi del Covid". Durante la sua campagna divisiva del 2016, per tutto il periodo del suo incarico, Trump ha offerto ai nazionalisti di destra un progetto e una spinta psicologica. Agoston Mraz, che dirige l'Istituto filogovernativo Nézőpont di Budapest, ha affermato che Orban e il suo partito Fidesz hanno osservato Trump con attenzione negli ultimi anni, ad esempio, adottando e adattando la sua retorica dell’”America First". Orban, che è al potere da più di dieci anni, ora parla spesso dell’”Hungary First". “Trump è un pioniere e anche un partito come Fidesz può imparare da quanto Trump ha fatto negli Stati Uniti. Si osservano gli strumenti utilizzati da Trump per verificare se funzionano nelle elezioni in Ungheria”.

Particolarmente importante è l'espressione "fake news" divulgata da Trump e le sue invettive contro i media. Nel governo di Orban spesso si accusano i centri di informazione che muovono critiche di spacciare notizie false e le sue misure sul coronavirus prevedono un periodo di reclusione per i giornalisti che diffondono disinformazioni sulla pandemia. La parola "fake news" è stata utilizzata anche dalle autorità per giustificare regole e azioni penali in Corea del Sud, Thailandia, Arabia Saudita, Bahrein e Brasile. Il governo egiziano ha approvato nel 2018 una legge che penalizza la diffusione di "notizie false" e l'ha utilizzata per accusare almeno 19 giornalisti, blogger e persino persone che pubblicano video online per denunciare problemi come le molestie sessuali. Nelle Filippine, Rodrigo Duterte si è scagliato contro le “fake news” dei centri di informazione  e ha introdotto multe salate per la divulgazione di notizie che danneggiano “l'interesse o la credibilità dello Stato”. Da un recente sondaggio europeo è emerso che il 20% degli intervistati in ciascuno dei sette paesi intervistati desidera che Trump vinca. Tuttavia, c'è ammirazione per Trump tra alcuni governi dell'Europa centrale e tra molti partiti di estrema destra ai margini della politica in altri paesi.

A parte Orban, i maggiori sostenitori europei del presidente degli Stati Uniti sono a Varsavia, dove il partito al governo Legge e Giustizia (Pis) ha proposto un programma basato sui cosiddetti "valori della famiglia" e condotto una campagna intensa contro i diritti Lgbt. Andrzej Duda, alleato del Pis, si è recato a giugno a Washington per offrire il suo sostegno a Trump, pochi giorni prima del voto presidenziale fortemente contestato che ha vinto. Duda non ha ancora ricambiato il complimento, anche se in agosto l'eurodeputato del Pis, Dominik Tarczyński, ha paragonato Trump a Giovanni Paolo II, il Papa polacco, e ha scritto su twitter: "Il 3 novembre, i polacchi ti sosterranno". Altri ammiratori in Europa comprendono Janez Janša, il primo ministro populista della Slovenia, che adotta un approccio simile a Trump nei confronti dei media e dei suoi avversari politici. Dopo il dibattito televisivo tra Trump e Biden del mese scorso, Janša ha scritto che Trump aveva "vinto alla grande", e ha elogiato spesso le politiche e i discorsi del presidente degli Stati Uniti. Anche alcuni partiti di estrema destra dell'Europa occidentale, come lo spagnolo Vox e il sempre più popolare Fratelli d’Italia, hanno parlato di Trump e della sua strategia come di un'ispirazione diretta.

"È un'ispirazione che si manifesta in modi diversi: si tratta di usare il patriottismo per affrontare il globalismo", ha detto Ivan Espinosa de los Monteros, portavoce parlamentare di Vox e vicesegretario per gli affari internazionali. “Si tratta anche di sfidare la correttezza politica, che non è mai stata sfidata con successo, e le idee promosse da una sinistra globalista, che ha imposto una serie di mantra e idee che tutti accettano e considerano come verità assolute. Ma lui le ha sfidate con successo. "Una sconfitta di Trump sarebbe una brutta notizia “non per la Spagna o per Vox ma per i valori occidentali tradizionali che hanno reso l'Occidente il posto migliore in cui vivere nella storia”. Prima delle elezioni statunitensi del 2016,

Matteo Salvini, leader della Lega di estrema destra in Italia, è andato negli Stati Uniti e ha posato in una foto con Trump a Philadelphia. Trump in seguito ha negato di averlo incontrato, ma, nonostante questo, l'ammirazione di Salvini non è diminuita. Durante una protesta davanti a un ufficio delle imposte a Roma della scorsa settimana, Salvini ha espresso il suo sostegno indossando una mascherina che inneggiava alla campagna elettorale "Trump 2020". Ha affermato che Trump è stato il "numero uno quando si è trattato di economia, nonostante la pandemia del coronavirus abbia provocato la crisi". Giorgia Meloni, leader di Fratelli d'Italia ed ex vicepremier, che è andata negli Stati Uniti a febbraio per ascoltare il discorso di Trump, hanno poi affermato: “Questa è la soluzione che vogliamo portare in Italia, dove anche noi vogliamo difendere i nostri prodotti, le nostre aziende, i nostri confini e le nostre famiglie". Forse, tra i leader mondiali, il più grande sostenitore di Trump è Bolsonaro, che si compiace nell'interpretare il "Trump tropicale". Il leader brasiliano ha stretto un legame apparentemente indissolubile con il presidente degli Stati Uniti, tanto che i ministri celebrano il giorno dell'Indipendenza degli Stati Uniti nella residenza dell'ambasciatore a Brasilia e pubblicano ripetutamente sulla sociale media foto della coppia anche se le speranze che Trump possa essere rieletto stanno svanendo. 

Il figlio politico di Bolsonaro, Eduardo, ha chiesto che il premio Nobel per la pace sia assegnato a Trump e spesso condivide la propaganda elettorale di Trump su Twitter.Gli osservatori dicono che Bolsonaro cerca ispirazione e legittimità interna dai suoi omologhi   nordamericani. I funzionari bolsonaristi sbandierano l'approvazione di Trump come prova che la loro rivoluzione di destra è sulla buona strada e come parte di un movimento globale conservatore e cristiano più ampio guidato da Washington.Duterte, diversamente da Bolsonaro, non si è classificato consapevolmente come personalità simile a Trump, ma i due condividono la stessa visione ideologica e talvolta la stessa retorica banale. Il presidente filippino ha detto quest'anno che Trump merita di essere rieletto, e le registrazioni delle telefonate trapelate mostrano che Trump ha elogiato il "lavoro incredibile" nella lotta condotta dal suo omologo contro le droghe illegali per aver svolto una campagna che, secondo alcuni gruppi, ha portato a decine di migliaia di esecuzioni extragiudiziali. Questa Casa Bianca che autorizza politiche discutibili spiega il motivo per cui anche i populisti che non si allineano ideologicamente con Trump vedono dei vantaggi nello scompiglio causato dalla sua presenza alla Casa Bianca.

Gli analisti affermano che il turco Recep Tayyip Erdoğan si sta affrettando ad attuare diverse politiche, come la repressione interna e l'acquisizione di missili russi S-400, nell'attesa che l'amministrazione Biden possa adottare una linea più dura. In Messico, il presidente populista di sinistra, Andres Manuel Lopez Obrador, noto come Amlo, ha stretto un legame improbabile con Trump, che ha lanciato la sua prima campagna presidenziale insultando i messicani. Mentre si surriscaldava la campagna elettorale, Amlo è persino andato a Washington per celebrare un nuovo accordo commerciale e ringraziare Trump per aver trattato il Messico con "rispetto". A sua volta, Trump ha ripetutamente apprezzato Amlo come un "bravo ragazzo", orgoglio dei sostenitori del presidente messicano.Secondo Carlos Bravo Regidor, analista politico di Città del Messico. "Un presidente poco ortodosso come Trump permette ad Amlo di farla franca con cose che un presidente americano più normale non gli permetterebbe di fare".

Per i leader in Ungheria e Polonia, che vengono spesso rimproverati dai politici dell'Unione europea per aver aperto la strada ad un regresso democratico, avere come alleato la Casa Bianca è un potente contrappeso alle critiche di Bruxelles, soprattutto nei messaggi interni. Peter Kreko, che gestisce il think tank Political Capital a Budapest, ha affermato, mentre spiegava il pensiero di Orban: "Se Trump è dalla mia parte, nessuno può definirmi un leader escluso dalla comunità della politica estera". Se Trump non ci sarà in futuro, l'equazione cambierà. Con Biden, potrebbe ritornare quello che Orban chiamava "imperialismo morale" e quello che i Democratici chiamerebbero politica estera basata sui valori. Nella sua campagna elettorale, Biden ha accusato il Brasile di Bolsonaro di abbattere le foreste pluviali e si è scagliato contro le politiche anti Lgbt del governo polacco. Le critiche mosse dai politici di destra, che si sono ingraziati il presidente degli Stati Uniti, dicono che stanno preparando i loro paesi per una corsa ancora più dura con l'amministrazione Biden. Questa settimana, il commentatore politico Eliane Cantanhêde del quotidiano conservatore Estado de São Paulo ha avvertito: "Senza Trump, il Brasile potrebbe diventare uno zombi internazionale".

Per leggere l'articolo originale: Rightwing populists place their bets on four more years of Trump

 

Xinjiang e il mondo. La persecuzione degli Uiguri è un crimine contro l'umanità
The Economist, 17 ottobre 2020

Era difficile credere alle storie che arrivavano dallo Xinjian. Sicuramente il governo cinese non sta gestendo un gulag per i musulmani? Sicuramente gli Uiguri non sono stati etichettati come "estremisti" e rinchiusi semplicemente per aver pregato in pubblico o per aver fatto crescere la barba lunga? Tuttavia, le notizie di questa settimana nella sezione sulla Cina riferiscono di prove su una campagna contro gli Uiguri in patria e all'estero, prove che stanno diventano più scioccanti con le immagini satellitari, con le fughe di documenti ufficiali e con il pietoso racconto di ogni sopravvissuto. Nel 2018, il governo si è concentrato a negare l'esistenza dei campi definendoli "centri di istruzione e formazione professionale", uno sforzo garbato per aiutare le persone sfavorite ad acquisire competenze utili. Il mondo, invece, dovrebbe guardare agli Uiguri come vittime dell'indottrinamento forzato della Cina. I detenuti raccontano che mese dopo mese vengono addestrati a rinunciare all'estremismo e a credere nel "pensiero di Xi Jinping" piuttosto che nel Corano.

Ci è stato riferito che le guardie chiedono ai prigionieri se esiste un Dio e picchiano quelli che dicono che esiste. E i campi sono solo una parte del vasto sistema di controllo sociale. I 12 milioni di Uiguri cinesi sono una piccola minoranza emarginata. La loro lingua turca è lontana dal cinese. Sono per la stragrande maggioranza musulmani. Una manciata di persone ha compiuto attacchi terroristici, tra cui un attentato in un mercato nel 2014 che ha provocato la morte di 43 persone. Non è avvenuto nessun incidente terroristico dal 2017. Secondo il governo, la sicurezza e l’anti estremismo più rigorosi avrebbero reso di nuovo sicuro lo Xinjiang. Questa è una spiegazione. L’altra dice che il governo, invece di catturare i pochi violenti, ha messo tutti gli Uiguri in una prigione a cielo aperto. L'obiettivo sembra essere quello di annientare lo spirito di un intero popolo. Persino chi è fuori dai campi deve partecipare alle sessioni di indottrinamento. Chi non parla del presidente cinese rischia l'internamento. Le famiglie devono sorvegliarsi a vicenda e segnalare comportamenti sospetti. Nuove prove suggeriscono che centinaia di migliaia di bambini Uiguri potrebbero essere stati separati da uno o entrambi i genitori detenuti. Molti di questi orfani temporanei si trovano nei collegi, dove sono puniti per aver parlato la loro lingua.

I quadri del partito, di solito cinesi del gruppo etnico maggioritario Han, sono dislocati nelle case degli Uiguri, per la politica nota del "diventare parenti". Le disposizioni per il contenimento delle nascite sono applicate in modo rigoroso alle donne Uiguri. Alcune donne sono sterilizzate. I dati ufficiali mostrano che in due prefetture il tasso di natalità degli Uiguri è diminuito di oltre il 60% dal 2015 al 2018. Alle donne Uiguri è richiesto di sposare uomini cinesi del gruppo etnico Han e sono ricompensate con un appartamento, un lavoro o anche un parente tolto dai campi. L'intimidazione si estende oltre i confini della Cina. Poiché ogni contatto con il mondo esterno è ritenuto sospetto, gli Uiguri all'estero temono di telefonare a casa per non fare arrestare una persona cara, come descrive un rapporto straziante della rivista 1843.

La persecuzione degli Uiguri è un crimine contro l'umanità: comporta il trasferimento forzato di persone, l'incarcerazione di un gruppo identificabile e la scomparsa di individui. La persecuzione è imposta sistematicamente da un governo, e oggi è la più grande violazione al mondo del principio che stabilisce che gli individui hanno diritto alla libertà e alla dignità semplicemente perché sono persone.Il partito al governo in Cina non ha nulla a che fare con il concetto di diritti individuali. Rivendica la legittimità dell’impegno di fornire stabilità e crescita economica a molti. Il suo appello alla maggioranza potrebbe benissimo ottenere il sostegno popolare. In una dittatura è praticamente impossibile avere elezioni accurate e la censura isola i cinesi ordinari dalla verità sui loro governanti. Molti cinesi sostengono chiaramente il loro governo, soprattutto perché opporsi è considerato antipatriottico.

Le minoranze scomode, come i Tibetani e gli Uiguri, non hanno alcuna protezione in un sistema del genere. Il regime, non vincolato al rispetto dei diritti individuali, è determinato a terrorizzarli fino alla sottomissione e costringerli ad assimilarsi alla cultura del gruppo etnico Han dominante.La Cina si trova all'estremo di una tendenza preoccupante. A livello globale, la democrazia e i diritti umani stanno regredendo. Il think tank, Freedom House, afferma che nonostante tutto questo sia iniziato prima del Covid-19, 80 paesi sono peggiorati dall'inizio della pandemia, solo il Malawi è migliorato. Molte persone, quando sono spaventate, desiderano fortemente stare al sicuro da un governante forte. Il virus offre ai governi la scusa per assumere i poteri di emergenza e vietare le proteste.I governanti violenti spesso mettono la maggioranza contro la minoranza. Il primo ministro indiano, Narendra Modi, sostiene un nazionalismo indù aggressivo e tratta i musulmani indiani come se non fossero realmente cittadini. Per questo motivo, il suo indice di gradimento è alle stelle. Lo stesso vale per Rodrigo Duterte nelle Filippine, che incita ad assassinare i criminali sospetti. Il primo ministro ungherese annienta le istituzioni democratiche e afferma che i suoi oppositori fanno parte di un complotto ebraico. Il presidente brasiliano esalta la tortura e sostiene che i critici stranieri vogliono colonizzare l'Amazzonia. In Thailandia il re sta trasformando una monarchia costituzionale in una monarchia assoluta.

Come possono resistere coloro che hanno a cuore la libertà? I diritti umani sono universali, ma molti li associano all'occidente, perciò, quando la reputazione dell'Occidente ha subito un duro colpo, dopo la crisi finanziaria del 2007-2008 e il fallimento della guerra in Iraq, anche il rispetto dei diritti umani hanno subito un duro colpo. Nonostante il fatto che l'America abbia imposto sanzioni mirate per via degli Uiguri, il sospetto che la predica occidentale fosse ipocrita è cresciuto con Donald Trump. Un presidente transazionale, ha sostenuto che la sovranità nazionale dovrebbe venire prima di tutto, e non solo per l'America. Questo va benissimo per la Cina. Sta lavorando nei forum internazionali per ridefinire i diritti umani relativamente alla sussistenza ed allo sviluppo, non alla dignità e alle libertà individuali. Questa settimana, la Cina è stata eletta insieme alla Russia al Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite.

L’opposizione all'erosione dei diritti umani dovrebbe iniziare con gli Uiguri. Se i liberali non dicono nulla sull'unica peggiore violazione di oggi al di fuori di una zona di guerra, come si può credere alle loro critiche su altri crimini minori? Gli attivisti dovrebbero denunciare e documentare le violazioni. Gli scrittori e artisti possono dire perché la dignità umana è preziosa. Le aziende possono rifiutarsi di collaborare. Si parla di boicottare le Olimpiadi invernali di Pechino 2022. I governi dovrebbero agire. Dovrebbero offrire asilo agli Uiguri e, come l'America, imporre sanzioni mirate ai funzionari che compiono illeciti e vietare la vendita dei prodotti realizzati con il lavoro forzato degli Uiguri. Dovrebbero denunciare. Il regime cinese non è insensibile alla vergogna. Se fosse orgoglioso delle sue azioni crudeli nello Xinjiang, non cercherebbe di nasconderle e né si appoggerebbe ai Paesi più piccoli per firmare dichiarazioni a sostegno delle sue politiche. Man mano che emergono le dimensioni dell'orrore, la sua propaganda diventa meno efficace: 15 paesi a maggioranza musulmana che avevano firmato tali dichiarazioni hanno cambiato idea.

L'immagine della Cina è diventata più negativa in molti Paesi negli ultimi anni, per i sondaggi l'86% dei giapponesi e l'85% degli svedesi ora hanno una visione negativa del paese. Questa è una preoccupazione per un governo che cerca di proiettare il potere morbido. Si dice che l'Occidente perderebbe troppo tenendo conferenze sui diritti umani: la Cina non cambierà e l'acrimonia ostacolerà i discorsi su commercio, pandemie e cambiamento climatico. È vero, è impossibile separare i diritti umani da questi temi, e la Cina cercherà di convincere altri paesi che il moralismo causerà loro un danno economico. Tuttavia, le democrazie liberali hanno l'obbligo di chiamare gulag un gulag. In un'epoca in cui la concorrenza globale aumenta, ciò che li rende diversi sono i diritti umani. Se non difenderanno i valori liberali, non dovranno sorprendersi se anche gli altri non li rispettano.

Per leggere l'articolo originale: Xinjiang and the world. The persecution of the Uyghurs is a crime against humanity