Una riflessione sulla condizione delle donne mel mondo, ispirata dallo slogan “Donne, vita, libertà”: prosegue il ciclo di appuntamenti promosso dal dipartimento politiche di genere della Cgil nazionale. Dopo il webinar dedicato alle donne in rivolta in Iran, nel pomeriggio di oggi (15 novembre) il confronto si è concentrato sull’Afghanistan. A presentare l’iniziativa per il sindacato di Corso d’Italia Esmeralda Rizzi che ha coordinato il dibattito con Francesca Grisot, docente presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia e presidente dell’Associazione A2030, Mariam Rawi, portavoce dell’associazione delle donne afghane rivoluzionarie Rawa, Cristina Rossi, attivista di Cisda, il Coordinamento italiano sostegno donne afghane e la responsabile del dipartimento Cgil Lara Ghiglione.

“L’informazione è importante. – ha spiegato Esmeralda Rizzi introducendo i lavori – Questo seminario ci aiuterà a capire qual è la distanza tra ciò accade in Iran e in Afghanistan. C’è un filo conduttore che è rappresentato dal patriarcato e cioè dall’esercizio del potere maschile sulle donne delle quali si vogliono nascondere il corpo e i diritti, o alle quali si vuole impedire di studiare, di esercitare alcune professioni, se non tutte, e di accedere alla vita pubblica. In Afghanistan, in particolare, l’idea sembra proprio quella di volerle tenere completamente nascoste sotto il burka. Il filo rosso c’è anche nella modalità con cui il potere maschile si scaglia contro le donne quasi come simbolo dell’esercizio di sé stesso. Non a caso i primi provvedimenti di qualsiasi governo conservatore, ovunque, sono sempre rivolti a reprimere o limitare i diritti femminili. Ed è questo un elemento che rende ancora più attuali e interessanti le riflessioni che abbiamo avviato con questo ciclo d'incontri”.

Cosa sappiamo dell'Afghanistan

Francesca Grisot ha sottolineato come dell’Afghanistan in Occidente si sappia veramente poco, condividendo spesso informazioni inesatte ed estremamente recenti. “Basta porsi alcune domande: da quando è stato introdotto il burka? Da quando esiste l’Afghanistan? Da quando c’è l’Islam in Afghanistan? Se pensiamo all’Afghanistan, la memoria rievoca iconografie molto recenti legate all’estremismo islamico tuttavia, -ha precisato l’antropologa - sarebbe bello ricordare anche che la storia di questo ricco Paese ci riporta all’Asia centrale, alle corti popolate da mecenati e astronomi, poeti e matematici. Il misticismo, il buddismo, la cultura zoroastriana e manichea, tutte queste cose che molto banalmente troviamo nelle canzoni di Battiato, in realtà, sono ancora incorporate in una parte di umanità che è tutt’altro che residua. E le donne sono estremamente consapevoli di questo. Le studentesse afghane che oggi sono arrivate in Italia grazie alle operazioni di evacuazione ne sono la prova e sono molto diverse da quell’iconografia che ci è stata propinata dalla televisione”.

Il dibattito ha ripercorso la storia dell’Afghanistan che, nato storicamente come un Paese tribale e nomade, dopo un susseguirsi di monarchie e la spinta verso la liberalizzazione degli anni ’60, nel 1978 conosce il colpo di Stato, sostenuto dall’Unione Sovietica, che instaura un governo socialista e impone il laicismo a uomini e donne. È allora che il velo viene vietato, che si afferma il diritto all’istruzione per le bambine e se ne vieta lo scambio in matrimoni combinati, retaggio della tradizione tribale. La reazione al laicismo imposto che stravolgeva le tradizioni locali avrebbe, però, portato a un inasprimento della componente sociale religiosa con l’affermazione dei gruppi armati dei mujahidin, sostenuti anche dall’estero. Di fatto, favorito dalle ingerenze esterne e da una predisposizione alla divisione in fazioni, l’Afghanistan è quindi passato, attraverso una guerra civile, al dominio dei talebani e alla caduta nel Medioevo nel 1996. Dal 2001, con il crollo delle Torri gemelle, l’attenzione dell’Occidente sull’Afghanistan è stata piena ma legata all’immagine di Al Qaeda, di Bin Laden, dell’estremismo islamico. Sono poi seguiti gli anni dell’Operazione Enduring Freedom che ha portato alla cacciata dei talebani, tornati però al potere nell’agosto scorso. Passaggi che hanno pesato, ciascuno a modo proprio, sulla condizione femminile ma che hanno anche portato a una consapevolezza e a una capacità di resistenza delle donne afghane sorprendente tanto che in questi mesi continuano a sfidare il regime e a riempire le piazze.

L'attivismo delle donne

Mariam Rawi è la portavoce dell’associazione Rawa, nata alla fine degli anni Sessanta per lottare per la giustizia sociale e una democrazia laica che garantisse alle donne afghane e tutti i gruppi etnici del Paese diritti e libertà. Fu la prima associazione proteste contro il fondamentalismo. L’Afghanistan che viene raccontato attraverso questa esperienza non fa sconti a nessuno. “Se guardate alla storia recente del Paese, agli ultimi quarant’anni, alle varie occupazioni straniere e alla guerra civile – ha commentato Rawi durante il webinar – non potete che constatare quanto il Paese sia andato indietro e non avanti. Basta una ricerca google per verificare come la vita delle donne negli anni Sessanta e Settanta fosse molto diversa da quella odierna. Nessuno nega che prima il Paese fosse arretrato e che ci fosse una sofferenza delle donne, ma se osserviamo la storia dell’islamismo in Afghanistan vediamo chiaramente che il suo insediamento nel Paese è stato il risultato di una strategia messa in campo dall’imperialismo statunitense attraverso la Cia. Non possiamo separare quella che è la condizione delle donne oggi da queste interazioni esterne. Il problema in Afghanistan non è nato dalla religione, dalle tradizioni, dalle divisioni etniche ma dalle ingerenze esterne che hanno utilizzato il fondamentalismo per controllare il Paese. Di tutto questo le donne sono state le prime vittime, come sono le vittime di ogni fondamentalismo nel mondo”.

La solidarietà è uno degli elementi che muove il Coordinamento italiano sostegno donne afghane, di cui Cristina Rossi è attivista. “Siamo operative dal 1999 quando il Cisda cominciò a cercare contatti con l’Afghanistan per sostenere le donne afghane. Lo abbiamo fatto attraverso scambi concreti, sul terreno, sostenendo le attività umanitarie ed educative svolte da associazioni come Rawa e da altre ong guidate da donne, supportando il loro lavoro politico di base, i loro progetti, raccogliendo fondi, magari finanziando l’acquisto di beni e materiali, fossero pure galline o capre per le donne di un villaggio remoto. Svolgiamo anche un’azione importante in Italia e in Occidente con le attività d'informazione e controinformazione, qualora fosse necessario anche di denuncia confrontandoci con il mondo della politica e tenendo alta l’attenzione su quanto accade in Afghanistan”.

Lara Ghiglione, responsabile del dipartimento politiche di genere della Cgil, ha infine salutato le ospiti collegandosi da Napoli dove è stato aperto uno sportello dedicato alle donne. “Davanti a un sopruso – ha detto - ci indigniamo per qualche settimana o qualche mese, poi dimentichiamo e passiamo oltre, per questo è importante continuare a tenere i riflettori accessi sulla condizione femminile in tutto il mondo. Il sentore che abbiamo è che ci sia un arretramento che colpisce le donne ovunque e la storia delle donne afghane ci deve insegnare che dobbiamo vigilare sempre su diritti e libertà”.

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