Oggi è la Giornata mondiale dei Servizi pubblici, una giornata per celebrare e riconoscere il ruolo dei servizi pubblici e degli addetti ai servizi pubblici nella nostra società. Il 23 giugno è stato riconosciuto per la prima volta come Giornata Mondiale dei Servizi pubblici dalle Nazioni Unite nel 2002, ma ha ricevuto molta più attenzione negli ultimi due anni perché milioni di persone hanno espresso il loro apprezzamento per i lavoratori del servizio pubblico, che in tutto il mondo sono stati in prima linea nella lotta alla pandemia. Purtroppo, tuttavia, questi gesti simbolici non si sono tradotti in migliori retribuzioni o migliori condizioni lavorative nei servizi pubblici; la gratitudine espressa, in particolare da governi e responsabili politici, si sta già esaurendo.

Nonostante il plauso, molti governi sono fermi ad un vecchio modo di pensare per quanto riguarda il finanziamento del settore pubblico. Malgrado si riconosca che la risposta basata sull'austerità alla crisi finanziaria del 2008 abbia indebolito i nostri servizi pubblici e la capacità di rispondere alla pandemia, molti organi decisori stanno rimettendo all'ordine del giorno la riduzione del debito. Alla fine del 2020, ad esempio, a quasi un anno dallo scoppio della pandemia, la Commissione europea ha messo in discussione le decisioni degli Stati membri di aumentare i salari degli operatori sanitari, perché questi meritati aumenti salariali potrebbero significare un debito pubblico più alto. Questo è esattamente il tipo di politica che ha fatto sì che le nostre società fossero così impreparate ad assorbire lo shock della pandemia, ed è questo tipo di ideologia che dobbiamo lasciarci alle spalle per costruire un'Europa più resiliente.

I servizi pubblici sono la spina dorsale delle nostre società. Sia in tempi di crisi che non, i lavoratori dell'assistenza sanitaria e sociale, dell'acqua e dei servizi igienico-sanitari, dell'istruzione, delle amministrazioni fiscali, delle carceri, dell'elettricità, dei trasporti e di altri servizi pubblici sono quelli che mantengono in funzione le nostre comunità. Ma un decennio di politiche di austerità ha fatto sì che questi servizi siano stati ridotti già molto prima dello scoppio della pandemia. Ciò non solo ha provocato un alto livello di burnout tra il personale, ma ha fatto sì anche che il personale stesso non sia in grado di fornire la qualità dei servizi pubblici necessari per coloro che gli si affidano.

La pandemia ha reso ciò particolarmente visibile nei servizi sanitari e assistenziali. La prima ondata è stata caratterizzata da una carenza di risorse, inclusi dispositivi di protezione individuale, letti nelle unità di terapia intensiva e personale qualificato, che ha lasciato diversi ospedali in tutta Europa incapaci di fronteggiare l’emergenza. Come ora sappiamo, tutto ciò ha tragicamente provocato molte morti evitabili, ma l'impatto a lungo termine è ancora da vedere. Negli anni a venire i servizi sanitari faranno fatica a recuperare l'arretrato di pazienti che hanno avuto trattamenti rinviati a causa della pandemia. La carenza di personale sarà esacerbata a causa dei livelli di burnout e di long-Covid tra il personale esistente e del tempo necessario per formare personale nuovo.

Affinché i servizi sanitari pubblici siano in grado di rispondere al crescente aumento delle liste d’attesa di trattamenti posticipati e fornire cure di qualità, è fondamentale migliorare i tassi di mantenimento e l'attrattiva delle professioni infermieristiche e di altre professioni sanitarie. A breve termine, una retribuzione più elevata, condizioni migliori e l'accesso al sostegno psicosociale potrebbero dissuadere i lavoratori dall'abbandono del settore. A lungo termine, è necessario un approccio più sistematico per aumentare gli investimenti nei servizi sanitari pubblici al fine di garantire livelli adeguati di personale ben formato in tutte le professioni sanitarie. Dobbiamo considerare seriamente come vogliamo fornire l’assistenza sociale, per i bambini e i giovani, per gli anziani e per le persone con disabilità. Fornire assistenza sociale a scopo di lucro e dare la priorità agli interessi degli azionisti rispetto ai lavoratori e agli utenti dei servizi di assistenza non è il modo per realizzare il diritto all'assistenza così come sancito dal Pilastro europeo dei diritti sociali.

Non sono solo i settori della sanità e dell'assistenza ad aver sofferto un decennio di sottofinanziamenti. I tagli di bilancio in altri servizi pubblici, dalle carceri alle acque reflue alle amministrazioni fiscali, hanno reso sempre più difficile per i lavoratori di questi settori fornire servizi sicuri e di qualità. Se vogliamo riprenderci e costruire un'Europa più resiliente, i finanziamenti d'emergenza e le misure di soccorso a breve termine non sono sufficienti. La pandemia ci ha fornito un'opportunità unica per fare le cose in modo diverso e aprire un un nuovo capitolo nel processo decisionale politico. L'Europa la deve cogliere.

È tempo di sfidare il mito che non ci siano abbastanza soldi per investire nei servizi pubblici. Il mondo perde ogni anno 427 miliardi di dollari di tasse, a causa dell'abuso fiscale delle imprese internazionali e dell'evasione fiscale privata. Questo equivale a uno stipendio annuo di un'infermiera o infermiere ogni secondo. I soldi ci sono, ma possono solo giovare all'interesse pubblico se le grandi società e i ricchi sono obbligati a pagare la loro giusta quota di tasse. Per questo è necessario un drastico cambiamento nel modo in cui le nostre società sono gestite. I governi nazionali e le istituzioni dell'Ue devono intraprendere azioni coraggiose e dare la priorità ai lavoratori, alle persone e al pianeta prima del profitto.

Mette Nord è presidente dell’Epsu

Jan Willem Goudriaan è segretario generale dell’Epsu