Per cercare di comprendere le varie complessità che determinano la composizione politica e sociale degli Stati Uniti d’America, tra le pubblicazioni degli ultimi anni è imprescindibile la lettura di Questa è l’America. Storie per capire il presente degli Stati Uniti e il nostro futuro (Mondadori, 2020), a cui ora si aggiunge un altro titolo, Una storia americana. Joe Biden, Kamala Harris e una nazione da ricostruire, sempre per la collana “Strade Blu” dell’editore Mondadori (pp.204, euro 17). Una felice diade realizzata dalla penna dello stesso autore, Francesco Costa, giornalista e scrittore, vicedirettore del quotidiano online Il Post. Lo abbiamo intervistato.

Partiamo dal libro, che ci racconta da vicino chi si appresta a governare un’America a dir poco confusa…
Inizia una pagina nuova nella storia americana... Ma questo libro è a più strati, non una classica biografia dei due protagonisti, Biden e Harris. Ho scelto soltanto alcuni momenti, alcune scene della loro storia che secondo me li hanno formati, rendendoli le persone che sono adesso, tra successi ed errori. Attorno a questi momenti c’è naturalmente l’America, e il libro racconta tanti pezzi della storia americana degli ultimi decenni, dai Sessanta sino a ieri. Momenti che hanno visto Biden e Harris avere ruoli importanti.

Quali?
Due esempi: quando nel 2009 Biden divenne vicepresidente di Obama, si occupò in prima persona del grande stanziamento di fondi del 2008 per uscire dalla crisi economica. Capire come si mosse allora può essere utile per capire come si muoverà questa volta. Kamala Harris, dopo un’estate di grandi proteste contro il razzismo del sistema penale americano, diventa la prima donna nera vicepresidente anche per essere stata capo del sistema penale della California. Capire cosa fece in quell’occasione, ricoprendo quel ruolo, ci aiuta a capire cosa farà adesso. Poi nel libro c’è il futuro: cosa succederà, cosa possiamo immaginare di questa nuova presidenza, e  tutto questo è molto legato alle loro due identità, Quello che ho cercato di raccontare è che le vite di Biden e Harris, i loro successi e i loro fallimenti, sono in qualche modo esemplari di una storia americana più grande, dell’evoluzione del Paese su molti temi. Da qui il titolo del libro.

In questi giorni uno dei suoi articoli si è soffermato sul tema dell’impeachment, qualche giorno dopo votato ai danni di Donald Trump, anche se soltanto dieci deputati repubblicani si sono schierati contro l’ormai ex presidente. Che interpretazione dobbiamo dare di questo voto?
Quei dieci deputati sono una stretta minoranza, quasi 200 hanno votato contro l’impeachment di Trump nel Partito repubblicano; allo stesso tempo, però, non ci sono mai stati nella storia così tanti deputati che hanno votato contro un presidente del loro stesso partito. Dunque il fatto ha comunque una sua rilevanza. Ma questa divisione così netta dice anche altro.

Cosa?
L’ascesa di Trump e la radicalizzazione dei Repubblicani non sono avvenute all’improvviso, e questa radicalizzazione non è iniziata con Trump, che è diventato presidente degli Stati Uniti perché il contesto politico del Partito repubblicano si era già molto spostato a destra. Una cosa che cerco di raccontare sempre perché mi piace evidenziare il modo in cui fatti che fra loro sembrano molto lontani in realtà sono collegati. Il Partito repubblicano si è molto radicalizzato negli ultimi vent’anni per tante ragioni, politiche, mediatiche, se vogliamo anche tecnologiche con l’arrivo dei social network, oltre che demografiche e culturali, e tutto questo rimane. Trump non sarà più presidente, ma è il contesto che ha creato questa situazione, e dunque Biden dovrà fare i conti non tanto con Trump, che con ogni probabilità vedrà concludersi la sua esperienza politica, quanto con un pezzo significativo del Paese, per quanto minoritario, che però è molto radicale e molto di destra, e che in una certa parte non lo considera nemmeno, come sappiamo, un presidente legittimo.

L’insediamento di Biden è alle porte. Cosa dobbiamo attenderci?
Lo scenario è quello che abbiamo visto il 6 gennaio scorso nel suo culmine, con l’attacco al Campidoglio. Gli Usa attraversano uno dei momenti più complicati e delicati della loro storia, anche a causa del fatto che una serie di problemi del Paese non vengono toccati, rimanendo irrisolti per decenni: dall’immigrazione alle diseguaglianze economiche, dalla deindustrializzazione al conflitto con la Cina sul piano politico e commerciale, tralasciando le tensioni razziali, la pandemia e le sue conseguenze economiche… Una fase complessa, e la montagna che si trova davanti Biden farebbe tremare chiunque. Inoltre, la soluzione di questi problemi in molti casi richiede il passaggio di leggi, dunque di un po’ di tempo.

Eppure Biden ha promesso che in pochi giorni prenderà provvedimenti importanti, marcando le differenze che lo dividono da Trump.
Vero. Per dare il senso di un cambiamento forte, Biden vuole prendere una serie di decisioni esecutive, in particolare nei primi dieci giorni del suo mandato. Alcune già si conoscono: rientrerà immediatamente nell’accordo sul clima di Parigi, così come in quello con l’Organizzazione mondiale della sanità, una cosa di questi tempi non da poco; ma la sua principale e più grande iniziativa legislativa sarà convincere il congresso a stanziare 1.900 miliardi di dollari, più del doppio di quelli stanziati per la crisi del 2008, non solo per tamponare le difficoltà economiche di moltissimi americani, ma per provare a cambiare l’economia statunitense, investendo molto nell’energia pulita, o alzando il salario minimo a 15 dollari l’ora, richiesta forte della sinistra del Partito democratico che trova cittadinanza in questa proposta di legge. L’intenzione di Biden è mettere da subito in chiaro che le cose sono cambiate, e cambieranno con rapidità. Bisognerà vedere, e lo scopriremo, quanto il Congresso condividerà questa stessa urgenza.

(montaggio video di Ivana Marrone)