Eppure nel mondo si continua a morire, ma il covid-19 non è l’unica ragione. Helin Bolek aveva 28 anni, anche se il suo corpo, ormai emaciato, ne dimostrava molti di più. L’attivista e cantante del gruppo musicale turco Grup Yorum è morta, dopo 288 giorni di sciopero della fame. Denunciava le persecuzioni politiche in Turchia, l’assenza di libertà di manifestare il proprio pensiero come artisti. Sulla band, 25 album e oltre due milioni di copie vendute, c’è un veto di Stato, che impedisce loro di esibirsi da diversi anni. Il governo Erdogan li accusa di appartenere a un’organizzazione terroristica e ha intentato diverse cause a loro carico.

“Avete ucciso una donna di 28 anni”. Ibraim Gorcek, chitarrista del “Grup Yorum”, fatica molto prima di pronunciare queste parole, nel video diffuso sui social che annuncia la morte della giovane donna. Appare magrissimo, lui continua a non mangiare, ora anche in memoria del sacrificio di Helin Bolek. Erano stati trasferiti in ospedale l’11 marzo, contro la loro volontà. Helin non ne è più uscita, non viva. La band Grup Yorum aveva iniziato lo sciopero della fame nel 2019 per opporsi ai provvedimenti sempre più restrittivi, anche in campo culturale, del governo Erdogan. Alcuni di loro erano stati arrestati e poi scarcerati alla fine dell’anno, ma avevano deciso di proseguire lo sciopero. Altri due componenti del gruppo, Bahar Kurt e Baris Yüksel, l'avevano terminato dopo 190 giorni.

Helin, invece, era salita sulle alture di Istanbul, nel quartiere Armutlu. Qui si trovano le cosiddette "case della morte”, dove si ritrovano le attiviste che intendono attuare lo sciopero della fame fino a morire. Alcune settimane fa, delle squadre di polizia hanno fatto irruzione, portando via Helin e il chitarrista per ricoverarli in ospedale, dove i degenti vengono nutriti con la forza. Alcune organizzazioni, come Istanbul Medical Doctors, Artists Assembly e Artists Initiative avevano già lanciato l'allarme lo scorso 20 gennaio, ma non è servito a salvare la vita della giovane cantante turca. Né è servito a fermare le intimidazioni del governo nei confronti della band. Concerti vietati dal 2015, come l’annuale appuntamento “Turchia indipendente”, che nel 2018 il gruppo era riuscito a tenere via internet. Ripetute incursioni al centro culturale di Istanbul Idil di Okmeydani, dove la band si esibiva. A ogni “visita” della polizia, gli strumenti musicali venivano distrutti o requisiti,  le partiture e i libri di musica danneggiati.

“Grup Yorum” era stato fondato nel 1985, da quattro studenti dell'università di Marmara. Fare musica era il loro modo di prendere parte alle lotte della popolazione turca per la giustizia e la libertà, coniugando la vena di protesta con le melodie tradizionali. Cantavano in turco, curdo, arabo e circasso, in tutte le lingue parlate in Anatolia. Ora, che Helin Bolek non c’è più, sui social circola un loro live in Istanbul di qualche tempo fa. Il palco è enorme, la piazza gremita. Cantano in turco. Solo due parole non sono state tradotte e il gruppo, insieme a migliaia di spettatori, le canta in italiano, a squarciagola: “Bella ciao”.