Non hanno idea di cosa sia realmente il mercato del lavoro. O lo sanno e non gli interessa. Affermare che basta avere tra i 18 e i 59 anni, non avere figli né disabili a carico per esser definiti occupabili è una mistificazione della realtà e nasconde la volontà di dar vita a un esercito di riserva di lavoratori e lavoratrici costretti ad accettare qualunque condizione salariale e di lavoro.

Si spiega così l'avversione di una parte del mondo delle imprese al reddito di cittadinanza che aveva reso meno ricattabili le persone. Così come aver tagliato proprio quelle risorse del Pnrr che dovevano servire a ricucire gli strappi della società a cominciare dalle periferie delle grandi città, e a costruire la sanità di territorio, dà il senso di quale idea del Paese ha la destra al potere. Ne parliamo con la segretaria confederale della Cgil, Daniela Barbaresi

È vero, era scritto in legge di Bilancio e declinato nel cosiddetto decreto Lavoro del 1° maggio, ma l’sms di annuncio della sospensione del Rdc arrivato a 169 mila persone, per loro, è stato un fulmine a ciel sereno.
Purtroppo è successo quello che denunciavamo da mesi. Questa è la cronaca di una tragedia annunciata. Centinaia di migliaia di persone e famiglie che percepivano il reddito di cittadinanza ora sono lasciate sole e senza sostegno: una bomba sociale a cui è stata accesa la miccia. Una situazione già drammatica e ulteriormente aggravata dall'improvvido invio dell'sms da parte dell'Inps, che non ha fornito alcuna indicazione se non comunicare la fine del sostegno economico a tutti coloro che perdono il Rdc. Il decreto Lavoro, varato dal governo, ha definitivamente abolito l'unico strumento di carattere universale di contrasto alla povertà presente in Italia, introducendo una nuova misura che divide la platea delle persone in condizioni di difficoltà, tra coloro che potranno accedervi e coloro che ne saranno escluse a prescindere dalle reali condizioni economiche e di bisogno. Una scelta crudele e profondamente ingiusta che non ha eguali in Europa. L'ufficio parlamentare di Bilancio ha stimato in 500 mila nuclei e oltre 800 mila persone la platea di popolazione che avrebbe potuto beneficiare del Rdc e che sarà esclusa dall'assegno di inclusione. Un'inclusione a geometria variabile che dà sostegno ad alcuni, ma lascia fuori tanti altri.

Occupabile, secondo il governo, è chiunque abbia tra i 18 e 59 anni, senza figli o genitori anziani o disabili da accudire. Anche questa caratterizzazione appare almeno bizzarra, visto che la maggior parte di chi ha figli o madre e padre anziano lavora. Ma a leggere i dati si scopre che la maggior parte dei cosiddetti occupabili ha oltre 50 anni e un livello di scolarità basso. Dove sono i posti di lavoro per loro?
Quello dell’occupabilità è criterio non solo arbitrario, ma privo di logica: non tiene conto della effettiva condizione delle persone e tratta in maniera diversa persone e famiglie che si trovano nella stessa condizione di povertà e disagio. Molte delle persone considerate “occupabili” sono lontane da tempo dal mercato del lavoro o hanno competenze ed esperienze inadeguate e difficilmente spendibili. Inoltre il governo sembra voler ignorare le caratteristiche del mercato del lavoro stesso, che in ampie aree del Paese, a partire da quelle del Sud, presenta criticità strutturali che dovrebbero essere affrontate. Altrimenti, forse, molti degli esclusi un lavoro lo avrebbero già. Da questo punto di vista, le dichiarazioni della ministra del Lavoro e delle politiche sociali di voler trovare “un posto in tempi rapidi per chi perde il Reddito” appaiono quanto meno velleitarie se non presuntuose. O semplicemente rendono evidente l’intenzione del governo di creare un esercito di riserva di lavoratori costretti ad accettare qualunque condizione.

Altra questione che il governo sembra non vedere: molti percettori del Rdc un lavoro in realtà ce l’hanno, ma con un salario talmente basso da dar loro diritto all’assegno. Ora come faranno?
Il governo non tiene in minimo conto la piaga del lavoro povero, che non garantisce un reddito adeguato per vivere dignitosamente a tanti, troppi, lavoratori e lavoratrici imprigionati nella spirale di precarietà, part time spesso involontari, appalti e subappalti e bassi salari. Basti pensare che quasi un terzo dei lavoratori dipendenti privati, soprattutto donne e giovani, percepisce retribuzioni lorde annue inferiori a 10 mila euro.

Una delle critiche che la Cgil mosse al Rdc, così come venne riformulato dal governo Conte 1, era che assegnare anche il ruolo di politiche attive del lavoro a uno strumento di tipo universalistico di contrasto alla povertà non avrebbe funzionato. Avevate ragione?
Il reddito di cittadinanza aveva criticità che abbiamo sempre evidenziato ed era migliorabile, ma è indiscutibile che prevedeva una risposta economica per tutti coloro che si trovavano in condizioni di bisogno, per poi attivare percorsi di inclusione lavorativa e sociale. Da oggi, una parte consistente di persone in difficoltà, sarà lasciata sola senza alcun sostegno economico. Ma cosa succederà a chi resta fuori? Chi non avrà la possibilità di partecipare ai corsi previsti dal supporto per la formazione e lavoro unico modo per accedere ai 350 euro al mese di sostegno - ma solo per la durata dei corsi - che non partiranno prima dell'autunno, come potrà vivere senza avere i soldi per mangiare o pagare l'affitto prima, durante e dopo l’avvio dei percorsi formativi? È questa la scelta crudele di un governo ostile con i poveri, ritenuti colpevoli della loro condizione, mentre un Paese civile dovrebbe preoccuparsi di rimuovere le cause della povertà, indicatore di arretratezza e profonda ingiustizia sociale. Ci sono poi incongruenze e disallineamento tra la cancellazione del reddito di cittadinanza e le tempistiche dei nuovi strumenti e ritardi intollerabili di cui chiediamo conto al governo: se già con la legge di Bilancio aveva deciso di cancellare lo strumento, perché in questi mesi non è stato fatto niente? Dove sono i decreti attuativi dei nuovi strumenti? Dov’è la formazione? Dov’è il rafforzamento dei servizi pubblici dei territori che dovranno accompagnare le persone nei percorsi di inclusione sociale e lavorativa? E dov’è il lavoro?

Dove sono questi provvedimenti e questi strumenti?
Semplicemente il governo scarica sulle amministrazioni locali, a loro volta in forte difficoltà per la mancanza di personale e di risorse economiche, il problema della povertà e del disagio di tante famiglie e il peso di provare a dare le risposte che il governo ha deciso di non far dare più dallo Stato. Ma saranno soprattutto le persone in condizione di fragilità e bisogno, a pagare il prezzo più altro di una scelta sbagliata. Per questo è necessario prorogare l'erogazione del reddito di cittadinanza per mettere tutti i soggetti istituzionali coinvolti nelle condizioni di mettere a punto il sistema e soprattutto ripristinare uno strumento universale di contrasto alla povertà per non lasciare le persone sole nella loro disperazione come molte già oggi sono.

Se la povertà non è una colpa individuale, ma il risultato di politiche economiche e sociali che aumentano le diseguaglianze, che effetti potranno avere i tagli ai progetti del Pnrr che riguardano rigenerazioni urbane e periferie?
Disinvestire sulla rigenerazione urbana significa rinunciare all’obiettivo di ridurre emarginazione e degrado sociale. Significa abbandonare anche gli anziani, quella fetta di popolazione sempre più crescente che necessita di attenzione al mantenimento il più a lungo possibile della loro autonomia. Banalmente non pensare a come renderli autonomi nell'uscire di casa, nell'attraversare una strada o passeggiare sui marciapiedi è l'evidenza che si ritengono un peso e se va bene da sfruttare economicamente nelle Rsa. C'è bisogno di ripensare città, paesi e quartieri a misura d'uomo e non di auto. Serve potenziare servizi e infrastrutture sociali di comunità, progettare servizi di vicinato, abbattere barriere architettoniche e incentivare i giovani all'autonomia ed emancipazione. Quale occasione migliore di un grande piano di rigenerazione urbana? Ma anche su questo il governo si volta da un'altra parte preferendo i condoni e strizzando l'occhio agli evasori.

Povertà è anche non potersi curare. Meno 30 per cento di case di comunità, meno 24 per cento di ospedali di comunità sempre determinati dai tagli al Pnrr, che effetti determineranno?
Quei tagli pesanti determinano un inaccettabile stravolgimento degli obiettivi del Pnrr, che sono: rispondere ai bisogni di salute delle persone potenziando la sanità di territorio attraverso case e ospedali di comunità, centrali operative, l’assistenza domiciliare perché la casa sia il principale luogo di cura, riqualificando gli ospedali per renderli sicuri anche dal punto di vista sismico, e superare le insopportabili diseguaglianze tra persone e territori che si traducono in notevoli divari nelle aspettative di vita che arrivano fino a 3 anni tra chi vive nelle realtà del Nord e chi al Sud. È evidente che per il governo la pandemia non ha insegnato nulla.

A settembre riprende, allora, la mobilitazione per contrastare le politiche di questo governo.
Una mobilitazione per chiedere cambiamenti concreti per il lavoro, contro la precarietà, per il contrasto alla povertà, per l’aumento dei salari e delle pensioni, per la sanità e la scuola pubblica, per la pace, l’ambiente, per la giustizia sociale, per la difesa e l’attuazione della Costituzione per unire l'Italia e non per dividerla. Una mobilitazione che, dopo assemblee nei luoghi di lavoro e nei territori, ci porterà in piazza in una grande manifestazione nazionale a Roma il 7 ottobre per affermare un’altra idea di Paese, società, sviluppo.