Il secondo trimestre del 2025 chiude con due fotografie che si sovrappongono e si rafforzano a vicenda. Da un lato l’Istat registra una battuta d’arresto del pil, in calo dello 0,1% rispetto ai primi tre mesi dell’anno. Dall’altro i salari reali degli italiani restano sotto del 9% rispetto al 2021. Due sintomi di un’economia che cresce poco, ma che scarica i suoi limiti sempre sugli stessi: i lavoratori.

Il calo congiunturale dell’industria, pari all’1,8% nel secondo trimestre, non è un dettaglio tecnico. Dietro quelle cifre ci sono fabbriche che rallentano, commesse che mancano, turni che saltano. Le difficoltà riguardano soprattutto i beni strumentali e quelli di consumo, e il loro riflesso immediato si vede nell’occupazione: aumenta il ricorso alla cassa integrazione e cresce la platea di chi percepisce il sussidio di disoccupazione.

Cassa integrazione in impennata

Il dato più inquietante lo fornisce però l’Inps: a giugno 2025, le ore di cassa integrazione autorizzate sono cresciute del 30,4% rispetto allo stesso mese dell’anno precedente. Un’impennata dovuta soprattutto alla cassa integrazione straordinaria, quella riservata alle crisi più gravi.

Il secondo trimestre dell’anno ha totalizzato 137,1 milioni di ore di cig, con una riduzione rispetto al trimestre precedente, ma in aumento del 13% rispetto allo stesso periodo del 2024. In parallelo, sale anche il numero di beneficiari di Naspi, con quasi 1,2 milioni di disoccupati (+3,8% su base annua).

Salari fermi, potere d’acquisto giù

Ma se l’economia stenta, la tenaglia si stringe sui redditi. Le retribuzioni non tengono il passo dell’inflazione, e in molti settori si lavora ancora con contratti scaduti. Secondo l’ultimo report Inps, sono ben 5,7 milioni i lavoratori in attesa di rinnovo contrattuale, pari al 43,7% del totale. Nel settore pubblico la situazione è ancora più critica: quasi la metà dei dipendenti attende un rinnovo, con forti ritardi che riguardano anche sanità e istruzione.

Il combinato disposto di buste paga ferme e prezzi crescenti produce un risultato devastante: i salari reali sono scesi di quasi il 9% rispetto al 2021, nonostante il ritorno a una crescita nominale negli ultimi trimestri. La perdita del potere d’acquisto è ancora più marcata tra i lavoratori meno tutelati, come quelli del commercio e dei servizi.

Serve un cambio di rotta

A fronte di questa situazione, la voce dei sindacati torna a farsi sentire con urgenza. La Cgil ha ribadito che “il problema riguarda non solo le imprese ma anche i lavoratori” e che “non possiamo permetterci di mettere a disposizione nuove risorse pubbliche senza garanzie di destinazione e controlli sui finanziamenti e i progetti”.

Il paradosso italiano è che mentre i dati sul Pil su base annua restano lievemente positivi (+0,4%) e l’export cresce (+3% su base tendenziale), la condizione materiale di milioni di persone peggiora. Le fragilità sociali aumentano, le disuguaglianze si acuiscono e l’ascensore sociale resta bloccato. Non è la crisi a mancare. È la giustizia nel modo in cui la si affronta.