La furia ideologica devastatrice dell’estrema destra e del Governo che esprime sembra non conoscere limiti: ancora una volta il bersaglio è la comunità LGBTQIA+, nemico giurato di un Governo normalizzatore, reazionario, integralista e feroce verso tutto ciò che sfugge alla norma e al controllo.

Dentro la comunità nel suo complesso, l’accanimento si focalizza una volta di più sulla componente a maggior rischio di esclusione e discriminazione, quella trans, con l’ulteriore aggravante che l’obiettivo è stavolta puntato verso le persone minori che stanno attraversando percorsi di affermazione di genere.

È ormai un dato acquisito che la mancata accoglienza e il mancato ascolto di queste persone in una fase così delicata della loro esistenza come quella adolescenziale e ancor più con l’insorgere della pubertà, induce marginalizzazione, abbandono scolastico e aumento esponenziale del rischio suicidiario.

Per questo motivo negli anni scorsi venne approvato in Italia l’uso della triptorelina, un bloccante della pubertà che consentisse a ragazze e ragazzi di rimandare un passaggio potenzialmente devastante fino al momento della decisione di avviare o meno il percorso di affermazione di genere e - in parallelo - si moltiplicarono le esperienze di scuole che consentivano le carriere alias. Come dice Cinzia Messina, attivista e madre di una ragazza trans: “Senza i bloccanti della pubertà oggi mia figlia non ci sarebbe più”.

Ma l’estrema destra, sorda a questi appelli e seguendo gli infausti esempi dei loro idoli russi, statunitensi, ungheresi e bolsonariani, non poteva tollerare tutto ciò: e allora via al tentativo di mettere al bando i percorsi alias nelle scuole, via alle ispezioni nella principale struttura ospedaliera specializzata sul tema con conseguente abbandono delle due maggiori esperte e via alla revisione delle linee guida per la somministrazione dei bloccanti della pubertà: un percorso sfociato nel ddl varato ieri dal Consiglio dei ministri sulla base delle indicazioni di una commissione governativa dalla quale son state rigorosamente escluse le persone trans e le loro associazioni, le famiglie dei minori coinvolti e chi era già impegnato sulla questione nelle strutture specializzate: per dire di una parte politica che straparla di ideologia gender ed è invece la principale responsabile di impostazioni ideologiche. Come altro definire, infatti, un approccio che non tiene in alcun conto le richieste e le esigenze delle persone oggetto di provvedimenti legislativi?

Ancora più preoccupante è il contenuto di quel provvedimento: vengono equiparate le terapie ormonali per adolescenti già sviluppati sessualmente e i bloccanti della pubertà, viene istituito un registro nazionale non focalizzato sui numeri ma sulle persone con tutti i rischi di possibile schedatura e violazione della privacy, viene nuovamente “psichiatrizzata” la questione in spregio delle indicazioni delle istituzioni mediche internazionali, Oms in primis.

Vale la pena di notare, a margine, che quando rappresentanti delle istituzioni sono costrette a ricorrere alle fake news (riguardo all’irreversibilità degli effetti dei bloccanti smentita dalla scienza o diffondendo notizie provenienti dagli ambienti dell’alt right complottista statunitense circa l’indottrinamento da parte dell’AI delle persone adolescenti per avviarle al “cambio di sesso”) significa che non si hanno argomenti reali e che l’unico fine è quello di portare a termine i propri intenti punitivi, come già accaduto ai tempi della bocciatura del ddl Zan rispetto al quale le stesse aree politiche chiedevano appunto l’espunzione del riferimento all’identità di genere.

Per i nuovi fascismi l’idea che le persone possano autodeterminarsi, sfuggendo a schemi imposti e rigidamente binari per riappropriarsi dei propri corpi e della propria vita è intollerabile, in questo come in altri ambiti.

La Cgil continuerà invece a percorrere la strada percorsa finora: anche negli ultimi anni ci siamo fatti promotori di una revisione della legge sulla rettifica anagrafica di sesso risalente a più di 40 anni fa. E l’abbiamo fatto partendo dall’ascolto della comunità e delle soggettività interessate che abbiamo ospitato nei nostri spazi per dibattere della questione. Perché è così che fa un sindacato, perché è così che si pratica le democrazia nel quotidiano.

Sandro Gallittu, responsabile dell'ufficio Nuovi diritti della Cgil nazionale