Isam è arrivato in Italia nel 2004, ed è invisibile. Ha fatto tutta la trafila: è partito dalla Costa d’Avorio due anni prima, è passato per i campi di concentramento della Libia, è salito su un barcone, è sbarcato a Lampedusa. Dopodiché è stato trasferito a Crotone, dov'è rimasto solo una ventina di giorni, poi è andato a Roma, a Napoli, dopo ancora a Foggia. Alla fine, nel 2014, è arrivato nella Piana di Gioia Tauro, e qui è rimasto. Sono 16 anni che vive e lavora in Italia ininterrottamente, in agricoltura e in edilizia. Campa alla giornata, facendo il manovale o il bracciante. Ma nel nostro Paese non potrebbe starci, non ha un permesso di soggiorno permanente. É insomma una delle migliaia di persone che vivono e lavorano qui, ma che hanno enormi difficoltà a diventare “regolari”. Magari solo perché la loro pratica è rimasta impigliata nel ginepraio della burocrazia italiana.

Sei anni fa Isam s’è affacciato per la prima volta nella famigerata baraccopoli di San Ferdinando, a un tiro di schioppo dal porto di Gioia Tauro, quella che è stata smantellata il 6 marzo del 2019 e che era arrivata ad ospitare oltre 2.000 persone, diventando di fatto il più grande ghetto informale d’Europa. Per tirare avanti macellava pure animali vivi, li cuoceva sulle resistenze di vecchi frigoriferi per poi venderli sotto forma di spiedini ad altri disperati come lui. Nel frattempo lavorava nei campi della Piana, a nero, o con contrattini di pochi mesi. Da quel posto è uscito vivo, ed è già tanto. Molta gente invece è morta carbonizzata negli incendi che ogni tanto divampavano nelle baracche. Dopo, non è stato tra coloro che hanno trovato un posto nella poco lontana tendopoli, un altro insediamento temporaneo che ormai resiste da anni. Alla fine è riuscito a trovare ospitalità da un amico, in un vecchio appartamento di Rosarno. Ma non è le cose ora vadano molto meglio. Perché continua a lavorare a nero, e ad aspettare un pezzo di carta che non arriva mai.

Nella tendopoli di San Ferdinando

Quella di Isam è la storia di una continua rincorsa. La prima domanda di permesso di soggiorno l’ha fatta per motivi umanitari. L’ha ottenuto a Roma ma poi l’ha perso e, a quanto dice, il legale che lo rappresentava non ha presentato ricorso. “Poi a Napoli ho iniziato a lavorare in edilizia, ci sono stato per sei mesi – racconta in un italiano un po’ stentato e filtrato dalla mascherina -. Una volta scaduto il permesso, non sapevo più cosa fare. Non so perché non ne avessi diritto, avevo un contratto a tempo, e pure una residenza”. Per lunghi periodi, quindi, è stato irregolare, ma ha continuato a lavorare. A nero. Sempre da invisibile, senza un contratto, senza documenti. “Il lavoro è la prima cosa - dice - il resto viene dopo. Però il permesso senza un lavoro non me lo danno. Quindi mi sono messo a cercare qualcosa qui in Calabria. Sono molto stanco, sto perdendo la speranza”.

L’ultima domanda di permesso Isam l’ha avanzata alla questura di Reggio Calabria nel 2016, di nuovo per motivi umanitari. Teoricamente, ne avrebbe tutto il diritto. Ma ancora oggi sta aspettando l'esito della commissione di Crotone. La pratica è seguita dalla Cgil della Piana di Gioia Tauro. “Isam è una delle persone che abbiamo intercettato facendo il nostro lavoro quotidiano sul territorio. Usciamo dalle nostre sedi per andare incontro a donne e uomini che cercano un’occupazione alla giornata, e che spesso non hanno né i mezzi né il tempo per raggiungerci. Così raccogliamo le loro storie e i loro bisogni– racconta Celeste Logiacco, segretaria generale della locale Camera del lavoro -. Stiamo cercando di capire perché l’incartamento di Isam s’è arenato, ma non è facile. Abbiamo anche chiesto più volte informazioni alla commissione, pure attraverso la questura di Reggio Calabria, mandando varie pec. Ma non abbiamo mai avuto risposta”. Nessuno sa perché quel pezzo di carta non arriva.  “Chiedo al governo italiano di darmi una possibilità – implora Isam –, e di permettermi di vivere normalmente del mio lavoro. Oggi, senza documenti è impossibile. Perché se non ho un permesso devo lavorare in nero, ma se lavoro in nero non posso avere un permesso”.

Una situazione di stallo burocratico, insomma, che anche la regolarizzazione prevista dal recente decreto Rilancio potrebbe non aiutare a risolvere. “Lui vorrebbe accedere alla sanatoria – spiega ancora Logiacco -, ma in questo momento non ha un datore di lavoro disponibile ad assumerlo, quindi il comma 1 del decreto (la sanatoria vera e propria ndr)  non è una strada percorribile. Dovrebbe provare con il comma 2 (quello che permette un permesso di 6 mesi per coloro che hanno un documento scaduto dal 31 ottobre 2019, non rinnovato né convertito in altro ndr). Ma pure in questo caso, ci sono alcune difficoltà burocratiche nella presentazione dei documenti da allegare”. Avendo lavorato spesso senza contratto, è molto difficile dimostrare la sua permanenza in Italia. Il  fatto che si sia rivolto alla Cgil più di 4 anni fa potrebbe essere una prova della sua permanenza nel nostro Paese. In questo periodo, tra l'altro,  ha partecipato a tutte le assemblee e alle manifestazioni organizzate dal sindacato.

La storia di Isam, però, è solo una delle tante vicende di sfruttamento che vivono da anni i braccianti in questo territorio. La situazione a San Ferdinando, negli ultimi tempi, è anche peggiorata. Soprattutto nella tendopoli. “Sono stato recentemente a porre la questione in Prefettura, per chiederne la chiusura - commenta il sindaco del paese Andrea Tripodi -. La tendopoli ormai sopravvive all’emergenza e va fisiologicamente degradandosi. Oggi non è più un luogo di crescita di consapevolezza, ma un ricettacolo di risentimento, un grumo di frustrazione. In breve, sono venute meno le ragioni sociali della sua esistenza. Quel luogo è ormai ridotto solo a uno spazio di contenimento di tensioni sociali e di un rischio sanitario pronto ad esplodere da un momento all’altro”. Per il sindaco Tripodi, insomma, “il problema dev’essere posto a livello regionale e nazionale. Non si può più pensare di risolvere un fenomeno epocale come quello dei migranti limitandosi al restauro dell’esistente, senza progettare un futuro possibile. E soprattutto senza toccare gli interessi e il sistema che stanno dietro allo sfruttamento di queste persone”.

I decreti sicurezza voluti dall’ex ministro dell’Interno Salvini, inoltre, hanno aumentato la pressione sulla Piana. Perché, ne è convinta Celeste Logiacco, hanno aumentato a dismisura il numero persone che si trovano in condizioni di irregolarità: “Persone che spesso si rivolgono a noi e che lavorano in molti settori economici, non solo in agricoltura. Molti sono usciti dai centri e, non sapendo dove altro andare, si sono riversati nelle campagne qui intorno”. Per questo, “non si può affrontare la questione dell’accoglienza e della legalità senza allacciarla al tema del lavoro. Perché combattere l’illegalità vuol dire anche superare definitivamente la condizione dei ghetti e favorire l’integrazione”. “Chi lavora senza un permesso di soggiorno - conclude - è più ricattabile e viene sfruttato. Proprio come Isam. É una situazione che costringe questi lavoratori a vivere in condizioni assolutamente disumane". Per rendere visibili gli invisibili, quindi, "la via è solo quella della regolarizzazione di tutti. Affinché possano finalmente vivere nella legalità e in modo dignitoso”.