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Medma non si piega è il film-documentario su Peppe Valarioti, scritto e diretto da Gianluca Palma, in collaborazione con Giulia Zanfino e Mauro Nigro, con le musiche di Daniele Sorrentino sul il primo omicidio politico-mafioso in Calabria. Presentato in anteprima a Rosarno e subito dopo a Trame Festival, ricostruisce una vicenda che non ha ancora trovato giustizia, attraverso materiali preziosi, tra cui alcuni audio originali dello stesso Valarioti, sindacalista, dirigente del Pci calabrese e insegnante.
Gianluca Palma e Giulia Zanfino, avete appena presentato il documentario, com’è andata?
Abbiamo voluto chiudere il documentario in tempo utile per presentarlo in concomitanza con l’anniversario dei 45 anni dall’omicidio Valarioti, che ricorreva l'11 giugno. Siamo stati ospiti del Trame Festival a Lamezia, ma abbiamo fortemente voluto fare un’anteprima a Rosarno, la cittadina di Valarioti. L’amministrazione comunale ci ha concesso l’uso gratuito di uno spazio, ma abbiamo dovuto faticare, perché non abbiamo avuto né il patrocinio del Comune, né alcun tipo di supporto economico. A detta loro, impossibilitati in quanto comune sciolto per mafia.
State infatti portando avanti un crowfunding per compensare le spese di produzione del film.
Sì, il documentario è stato realizzato prevalentemente con l’autofinanziamento, più il supporto prezioso di realtà come la Fondazione Carical, la Cgil di Reggio Calabria e quella di Cosenza, l’Anpi di Reggio. Un supporto fondamentale, perché stiamo invece trovando grande ostracismo da parte delle istituzioni. Come se ancora non si volesse parlare di ‘Ndrangheta. A parte casi rari, come quello dei comuni di Polistena, Cinque Frondi e San Ferdinando che ci hanno invece promesso il loro sostegno. Persino la Calabria Film Commission si è rifiutata di sostenerci.
Chiunque può contribuire a fare uscire dal dimenticatoio questa storia, facendo una donazione e seguendo le istruzioni riportate nella bella locandina realizzata da Giulia Fidale con la concessione del disegno da parte di Mauro Biani, che ringraziamo (dalla riedizione de Il caso Valarioti, edito da Round Robin nel 2020).
La figura di Peppe Valarioti è molto affascinante: sindacalista, dirigente del Pci, insegnante. Eppure non è conosciuta come dovrebbe. Come mai?
Valarioti, così come pure Giannino Losardo, a cui abbiamo dedicato un precedente documentario, sono tra le vittime innocenti di ‘Ndrangheta che non hanno mai trovato giustizia, né nei tribunali, né nella narrazione. Questo perché sono stati uccisi alla fine degli anni ‘70 e prima della Legge La Torre, che costò al suo promotore la vita. Oltre a ciò, parliamo degli anni delle Brigate Rosse, del sequestro Moro, anni particolari per la Calabria. Sono gli anni in cui Giulio Andreotti, da ministro della Cassa per il Mezzogiorno, viene a inaugurare i lavori per il Porto di Gioia Tauro, gli anni dei Piromalli, una delle ‘ndrine più potenti e con grandi interessi proprio sul porto. E sono, infine, gli anni in cui coraggiosamente solo il Pc e i sindacati denunciano quello che accade.
Nello stesso anno, undici giorni dopo l’omicidio di Valarioti, il 22 giugno viene ucciso anche Giannino Losardo, capo della Procura della Repubblica di Paola. A lui avete dedicato il documentario Chi ha ucciso Giovanni Losardo. Chi era?
Giannino Losardo veniva dalla lotta per le occupazioni delle terre, dall'antifascismo, era portatore di questi valori che oggi sembrano quasi una chimera, e aveva deciso di impegnarsi in una procura molto problematica, come quella di Paola. Ha vissuto l’isolamento nella sua lotta contro il malaffare imperante, che era frutto di un connubio molto forte tra mafia, territorio e istituzioni. Magistrati e politici corrotti, forze dell’ordine conniventi. In questo contesto, le sue denunce sono state la sua condanna a morte.
Perché il vostro lavoro di documentazione giornalistica ha trovato tanti ostacoli lungo il percorso?
Perché il nostro non è solo un lavoro di memoria, ma è anche di attualità. Tutti quelli che poi sono stati assolti nel caso Losardo- probabilmente per corruzione dei giudici? - sono ancora vivi, vegeti e liberi. Il boss col 41 bis che se ne sta a casa tranquillo e sereno, la mattina fa la cyclette con le finestre spalancate. I killer più sanguinari la mattina li trovi al bar che prendono il caffè. A Cetraro oggi si spara peggio che negli anni ‘80. Ma se non facciamo chiarezza sul passato, come possiamo pensare di risolvere i problemi sociali del presente?
Voi come avete lavorato per cercare di ricostruire una verità giornalistica, in assenza di quella giudiziaria?
Appena abbiamo contattato la famiglia Valarioti e Carmela Ferro (la sua fidanzata dell’epoca), da subito ci hanno aperto le porte della casa a Rosarno. Ma soprattutto, ci hanno fornito dall'archivio di Valarioti delle cassette con audio inediti, di lui che fa lezione di filosofia, lui che fa prepara comizi.
Com’è nata Ugly Film, la vostra casa di produzione?
Per avere un avamposto di libertà narrativa e di spirito critico rispetto a quello che noi raccontiamo. Siamo una piccola produzione e abbiamo deciso di partire raccontando storie sconosciute, dimenticate e anche scomode, pur sempre rispettando il territorio nel quale viviamo a lavoriamo. Abbiamo trovato partner per noi molto importanti che, magari non smuovono grandissime cifre economicamente, però ci aiutano nel prezioso lavoro di ricerca. Per montare Medma in tempo abbiamo lavorato al freddo e al gelo, fatto le ore piccole. Siamo molto grati a Mauro Nigro, che ha realizzato il montaggio e la color in tempi record, rendendolo proiettabile. E a Daniele Sorrentino che ha curato le musiche. Ma bisogna ammettere che con i bandi pubblici per realizzare un film si fa davvero fatica: richiedono un cofinanziamento pari a quello concesso e sono duri da sostenere. Diventa una guerra all'ultimo sangue, in cui quasi sempre trionfa la sagra del peperoncino.
Si fa fatica a puntare su progetti scomodi…
Noi conosciamo nomi, cognomi, indirizzi degli esecutori materiali e molto spesso anche dei mandanti degli omicidi, che però la giustizia, dopo decenni, non ha ancora riconosciuto come tali. Si tratta proprio di un vuoto di memoria e di giustizia. È un problema, perché chiaramente un’amministrazione comunale poi dice “se ho ancora il killer che prende il caffè al bar, ma a me chi me lo fa fare?” Noi stessi abbiamo ricevuto minacce personali e non siamo ben visti da coloro che ritengono che se non c'è una sentenza noi non ci dobbiamo permettere il lusso di dire che ci sono dei colpevoli. Mentre invece storicamente il giornalismo che cosa fa? Anticipa prova ad arrivare primo, a colmare i vuoti. Altrimenti non serve a niente. E invece vige l’autocensura, vigono le paure. In Calabria, culturalmente, siamo all'anno zero.