Marco Ferri, in arte Bruco, è il frontman del gruppo rock SOS, impegnato da sempre non solo a sostenere le tematiche della sicurezza sul lavoro ma anche a fare di se stessi uno strumento per sensibilizzare il pubblico su un tema ipocritamente edulcorato nella sua stessa definizione: morti bianche, quasi che ne esistessero di peggiori. Invece, lungo una carriera che vanta oltre trent’anni di attività, la band creata da Bruco nel 1993 ha affrontato in modo costante, nei temi trattati dalle loro canzoni - come testimonia il recente Macte Animo! (Coraggio! in latino) che raccoglie i brani più significativi della band usciti negli ultimi anni - questioni inerenti la sicurezza e la prevenzione nella vita di tutti i giorni, e lo ha fatto anche nelle iniziative volte a rendere maggiormente conosciuta la problematica, come il progetto Looks that Kill, presentato al Safety Expo a Bergamo, dedicato proprio alla sicurezza sul lavoro.

Marco Ferri, molti artisti vantano un impegno di tipo sociale però, in genere, sembra esserci poca consapevolezza sulle specifiche tematiche di cui si fanno testimonial, sono più dei vettori del messaggio che i suoi interpreti. Per voi ci sembra diverso, la problematica delle morti bianche e della sicurezza sul lavoro sembra quasi parte del vostro operare. Come nasce questa sensibilità?

Non è di facciata o frutto di quell’atteggiamento spesso presente nella musica rock dove tanti gridavano sesso droga e rock and roll e avevano le bottiglie con dentro il tè! Per quanto ci riguarda, tutto parte proprio dall'esperienza nel fare concerti, dove abbiamo vissuto tante situazioni nel corso degli anni, abbiamo visto e suonato su palchi non propriamente a norma, o in locali dove ti mettevano di fianco ai servizi igienici. Poi è successo che nel 2018 è arrivata una sollecitazione da parte di un nostro fan, Andrea, che è il responsabile del servizio di prevenzione e protezione (Rspp) all'interno di un'importante azienda, che mi ha chiesto se mi andava di scrivere una canzone sulla tematica della sicurezza.

SoS

Ho accettato la sfida ed è uscito un brano che si intitola Ancora vivere; poi, grazie al supporto della Fondazione LHS, un’organizzazione no profit costituita da Saipem nel 2010 per diffondere la cultura della salute e sicurezza nell’industria e nella società, abbiamo realizzato un video e successivamente un evento per presentarlo (al Teatro Brancaccio ndr) e mi sono reso conto di quante persone esistono in Italia, dai dirigenti d'azienda agli operai e ai formatori che si impegnano tutti i giorni nel silenzio. Sappiamo bene che della sicurezza sul lavoro si parla solo quando qualcuno muore, e cercano di portare avanti un discorso di cultura della sicurezza. Da quell'evento lì, la nostra percezione è cambiata. Se all'inizio era una sfida, poi ho cominciato a ragionare. Ho cominciato a riflettere su quanto sarebbe stato bello e importante che la musica fosse un veicolo per raccontare alla gente di tutto questo.

La vostra è una lunga carriera. Ai vostri concerti ci sono i giovani? Si riesce a sensibilizzarli?

La musica, e la musica rock in particolare, ha ancora un suo appeal, un suo fascino, soprattutto perché è suonata: alcuni magari non ci sono abituati, pensano che sia solo fatta dai dj o dai producer, però sono incuriositi. L'esperienza nelle scuole è stata particolare, penso a quando abbiamo fatto il primo concerto all'Agenzia Spaziale Italiana davanti a 300 ragazzi delle scuole di Roma: è stata veramente galattica! Sui giovani, il lavoro da fare è portarli a concerti che non siano solo quelli dei prodotti mainstream: portarli a sentire i concerti in situazioni come teatri, club, dove è possibile un confronto più diretto.

Di incidenti mortali sul lavoro ce ne sono circa due milioni l'anno in tutto il mondo. E viene scomodato il termine “morte bianca” come se da un lato non ci fosse una mano che la causa, e dall’altro ci fosse una sorta di ineluttabilità. Vi siete scontrati contro una sorta di “succede”? E qual è il messaggio che avete cercato di trasmettere?

Proprio così. C'è una percezione del tipo: “Tanto l'ho sempre fatto così”, “Ma perché devo indossare il casco?”, “Perché devo salire su un ponteggio con imbragatura? Tanto ho sempre lavorato in quella maniera e poi fa caldo…”. La bestia, una delle canzoni del nostro album, illustra proprio questa sottovalutazione, la percezione del “a me non succede”. È una questione proprio culturale e abbiamo questo problema, proprio noi come italiani. Siamo bravi in tante cose, ma in questo siamo molto indietro. Un esempio che raccontiamo nelle nostre canzoni: quante persone quando siedono al lato posteriore di un'automobile indossano la cintura di sicurezza? Mi è capitato anche l'altro giorno: siamo andati a cena con degli amici e io ho la macchina tedesca che suona se anche dietro non ci si mette la cintura. Ecco: “suona, guarda che devi mettere la cintura”. “Ma perché? Dietro non serve, stiamo parlando”. Quello che facciamo attraverso i video, attraverso la musica o gli spettacoli è cercare di far percepire alle persone l’importanza di questi valori, che permettono di introiettare poi certe metodologie. Se qualcuno vede video come Ancora vivere, o Con gli occhi aperti qualche riflessione comincia a farla…

Dopo trent’anni un album che sembra lanciare un messaggio di speranza, ma quel “dai, coraggio!” va interpretato come un “pat pat” sulla spalla quando stai per piangere o è un segno positivo?

In realtà per noi è l'inizio di un percorso, nel senso che dal 2018 ad oggi abbiamo scritto diversi brani dedicati alla tematica della salute e sicurezza; abbiamo fatto esperienza in aziende, scuole, concerti in locali, ma è adesso che ci siamo resi conto dell'importanza, della potenzialità di questo discorso. Quindi per noi dedicare il nostro prossimo percorso alle tematiche sociali è un nuovo inizio: prima lo facevamo, magari con qualche canzone, ma era il frutto di un approccio giovanilistico (lottare per la rivoluzione, contro la guerra, quelle cose lì…) adesso con la maturità ti rendi conto che se non lo facessimo sarebbe proprio un peccato, perché può essere da stimolo per altri, visto che ci troviamo in un momento in cui tutti parlano di soldi, di quanto è bello stare sulla Rolls Royce seduto con una bella donna al fianco, eccetera eccetera… Noi siamo dei rockettari che hanno un loro percorso trentennale, cantiamo delle canzoni che parlano di cose reali. Ripeto: più modelli meno influencer!

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