Lo scorso 17 maggio, giornata internazionale contro l’omotransfobia, il governo italiano si è rifiutato di sottoscrivere la Dichiarazione Ue per la promozione delle politiche a favore della comunità Lgbtq+. L’Italia si trova nella non bella compagnia di Ungheria, Romania, Bulgaria, Croazia, Lituania, Lettonia, Repubblica Ceca e Slovacchia.

Nelle stesse ore il presidente della Repubblica Mattarella invitava le istituzioni: “Affinché si impegnino per una società inclusiva e rispettosa delle identità", ricordando che il nostro Paese "non è immune da episodi di omotransfobia" e che questi atti portano "lacerazioni alla convivenza democratica", e ammonendo che "non è possibile accettare di rassegnarsi alla brutalità".

Tentativo di limitare la libertà di informazione, attacco ai diritti alla libertà e all’autodeterminazione delle donne, attacco ai diritti e restrizioni per la comunità Lgbtq+, attacco all’autonomia della magistratura e tentativo di limitare il potere giudiziario, restrizione del potere legislativo a favore di quello esecutivo, volontà di manomissione della Costituzione antifascista. Segnali da non sottovalutare

La memoria è fondamentale per comprendere il presente, ci dice Giovanni Coda, regista del film “Il rosa nudo”, la storia di un giovane deportato in campo di concentramento dai nazisti. Pierre Seel era un ragazzo alsaziano, aveva 17 anni quando fu arrestato e deportato nel campo di Schimerck, non solo fu torturato ma lo costrinsero ad assistere alla tortura e all’assassinio del compagno.

Giovanni Coda è un regista cinematografico, autore, sceneggiatore e fotografo italiano. Dal 1996 è Direttore Artistico del V-art “Festival Internazionale Immagine d’Autore”. Dal 2020 ricopre il ruolo di Advisor come membro dell’Advisory Council del “Social Justice Film Festival & Institute” di Seattle. È fondatore e direttore dello spazio espositivo “The Social Gallery” con sede nella città di Quartu Sant’Elena.

Perché raccontare nell'Italia del 2024 questa storia?
Perché è importante mantenere la memoria accesa. È importante ricordare quello che sono stati nazismo e fascismo e cosa hanno fatto. Sono pochissime le persone della comunità Lgbtq+ sopravvissute ai campi di sterminio e tra queste pochissime hanno raccontato ciò che vissero. Penso che abbiamo un obbligo nei confronti di queste persone, tutta la società ce l'ha, quello di non dimenticare ciò che accadde a tutti i perseguitati, oltre che al popolo ebraico.

Perché si parla così poco delle diverse minoranze, da quella omosessuale a quella dei rom per arrivare a quella dei disabili, che pure furono perseguitate e finirono nei campi di concentramento e sterminio?
Non so darmi una risposta, probabilmente esiste una sorta di tabù, si vuole dimenticare ciò che è stata la mostruosità del nazifascismo. La comunità ebraica con i 6 milioni di morti ha pagato un prezzo altissimo, prezzo che hanno pagato anche altre comunità, i rom, i disabili, oltre che i gay e le lesbiche. È un tabù e siamo in un momento in cui non si vuole andare a fondo per cogliere completamente il dramma causato da quel regime, di quanto dolore riusciva veramente a diffondere non solo tra le vittime dirette, ma quanto dolore riusciva a infondere nell'animo umano e nelle persone.

Parli di tabù nei confronti degli omosessuali, in generale della comunità lgbtq+, è superato o esiste ancora?
Se ci riferiamo a quel periodo esistono pochissime testimonianze dei protagonisti, Pierre Seel è l'unico omosessuale francese che ha raccontato perché fu arrestato, le torture e il trattamento subito durante la deportazione. I sopravvissuti di allora, oggi sono tutti morti ma certo quasi nessuno ha raccontato, quindi sì, probabilmente quel tabù esiste ancora. Oggi, chiaramente sono stati fatti dei passi avanti, esistono le associazioni, le istanze sono molto più chiare. Però non tutto è semplice. Ad esempio io ho fatto un film scomodo, che non ha avuto una grande distribuzione in Italia, mentre la ha avuta nel resto del mondo. Pensa che la prima proiezione de “Il rosa nudo” è stata ad Atlanta, certo in molti piangevano ma lì non conoscevano il nazismo e il fascismo come lo conosciamo noi.

La scelta stilistica del film è molto particolare. Una voce narrante in prima persona che racconta quello che il protagonista ha subito, pochissime immagini in ambienti molto spogli che si trovano in Sardegna e non in Polonia o in Germania, perché?
Il film origina dall’autobiografia del protagonista, non potevamo fare un film didascalico. Ci siamo affidati ai simboli, ai segni, alle metafore. È stato girato in Sardegna, e come ambientazione ho scelto degli spazi di archeologia industriale, abbiamo girato a Quartu Sant'Elena in un ex Cartiera della fine dell'Ottocento, in un ex polveriera a Siliqua vicino Cagliari. Abbiamo cercato di ricreare degli spazi che potessero contenere quel dolore affidandoci a un gruppo di attori teatrali in grado di ricreare metaforicamente quel clima: Gianni Dettori, Italo Medda, Sergio Anrò, Gianni Loi, Mattia Casanova, Francesco Ottonello, Mauro Ferrari, Luca Catalano, Lorena Piccapietra, Assunta Pittaluga, Carlo Porru, Cricot Teatro. Penso che il film alla fine sia andato nella giusta direzione, che sia stato apprezzato proprio perché non mostra alcuna immagine di violenza. La voce fuori campo serve a narrare i fatti mentre l'immagine non va di pari passo alla narrazione. Ma la narrazione ci svela, poeticamente, il dolore. Il risultato è quello di coinvolgere sensorialmente lo spettatore attraverso i codici della video arte.

Il film, lo dicevi, ha avuto scarsissima distribuzione in Italia, è stato molto più visto fuori dall'Italia. Ma chi volesse vederlo oggi come può fare?
Il film è gestito dall'Associazione culturale Della Porta, e quindi da me, gestiamo la distribuzione fondamentalmente attraverso il porta a porta. In generale il cinema indipendente, a differenza del mainstream, ha appunto procedure e metodologie diverse. Si può contattare il regista invitandolo a presentare il film.

Quanto si guadagna con il cinema indipendente?
Pochissimo, però si guadagna in altro. Si guadagna in libertà e creatività. Si guadagna anche assumendo una posizione politica. “Il rosa nudo” è un film politico, permette a me di esprimere un'opinione fuori dal coro. Non comprerò una macchina nuova, ma almeno ho la libertà di dire quello che voglio. E oggi è a rischio la libertà di dire ciò che si vuole.

Contatti Produzione e Distribuzione: Helga St.Haim reindeercatsolutions@gmail.com

Contatti Regista: Giovanni Coda jmage.studio@gmail.com