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È una Palma d’oro in nome della libertà, contro le dittature e la violenza dei regimi, quella assegnata dalla giuria, capitanata da Juliette Binoche, al regista iraniano Jafar Panahi per il suo magnifico Un simple accident. Dopo quindici anni, durante i quali ha subito arresti e impedimenti di ogni tipo, nonché il divieto di uscire dall’Iran, Panahi è salito finalmente sul palco di Cannes, facendo appello a tutti gli iraniani del mondo per ricordare che “la cosa più importante è il nostro paese e la sua libertà”.
Una Palma alla libertà dalle dittature
Delle torture e della violenza inflitte dal regime degli ayatollah racconta, per la prima volta in modo diretto, come mai si è visto in un film iraniano. E persino le attrici sono senza velo. Protagonista è un operaio, arrestato per aver protestato dopo mesi senza stipendio. Le torture e le violenze subite l’hanno reso invalido. Il giorno che per caso incrocerà il suo torturatore, rapirlo per vendicarsi sarà il primo pensiero. Non trasformarsi in mostro come loro, però, la sua scelta.
Migliore regia a L’Agent secret
La memoria della dittatura brasiliana, poi, splendidamente evocata da L’Agent secret di Kleber Mendonça Filho porta a casa due Palme, miglior regia e miglior attore protagonista per Wagner Moura, nei panni del professore universitario perseguitato e costretto alla clandestinità.Alle ragazze madri e adolescenti senza futuro dei fratelli Dardenne, Jeunes mères, va il premio per la sceneggiatura.
La nostra Palma “morale” al film su Gaza
Una seconda Palma d’oro, ideale, l’assegniamo noi a Put your soul on your hand and walk, il film più atteso e visto di Cannes 2025, presentato nella sezione L’Acid, quella dei registi indipendenti, che è stata capace questa volta di focalizzare l’attenzione mediatica dell’intero festival, registrando il sold out a tutte le proiezioni. Il suo contenuto è una straordinaria testimonianza sulla distruzione di Gaza, raccontata in prima persona da Fatma Hassona, la giovanissima reporter palestinese che proprio all’indomani dell’annuncio che il suo film l’avrebbe condotta al festival, è stata uccisa dai missili israeliani, insieme a parte della sua famiglia.
Un quotidiano di guerra e prigionia
Il sorriso contagioso, la vitalità straordinaria di Fatma in queste immagini, nella semplicità del racconto, colpiscono al cuore. In dialogo con lei è la regista iraniana Sepideh Farsi, a sua volta dissidente rifugiata in Francia. La loro conversazione porta in scena un quotidiano di guerra e prigionia. Fatma come ogni ragazza della sua età -aveva 25 anni - sogna di viaggiare, di poter venire via da quella prigione a cielo aperto che ormai è diventata la Striscia. Ma sotto le bombe, le sentiamo e vediamo cadere intorno a lei, anche mangiare un pezzo di pollo diventa un sogno. La fame è un’altra grande nemica.
L’annuncio che Put your soul on your hand and walk è stato selezionato a Cannes lo ascoltiamo e vediamo attraverso l’entusiasmo e la commozione della stessa Fatma che riceve la notizia. Le bombe di Netanyahu hanno distrutto anche questo sogno. Ma non la potenza e il valore di testimonianza e denuncia del film che, arriverà nelle sale italiane prossimamente, e sarà promosso anche attraverso una rete di solidarietà tra festival e rassegne.
Lucky Lu: un rider a Chinatown
Altra nostra Palma è Lucky Lu, sorprendente opera seconda di Lloyd Lee Cho, regista coréano- canadese che vive à Brooklyn, passato alla Quinzaine des cinéastes, storica sezione indipendente del festival. È nella Chinatown della Grande Mela, infatti, che il regista mette in scena le tribolazioni quotidiane di un rider, in attesa dell’arrivo della moglie e della sua bambina che non vede da cinque anni. Finalmente è riuscito a trovare e pagare la caparra per un appartamento, c’è pure una finestra e un acquario. Il sogno di rimettere insieme la famiglia sta per avverarsi. Ma il furto della bici, purtroppo, cambierà completamente le sue aspettative. Un Ladri di biciclette contemporaneo, insomma, toccante e fuori da ogni retorica, dove colpisce soprattutto il rapporto padre-figlia, tenero e inaspettato.
La prima volta della Nigeria a Cannes
Di padri e figli questa Cannes, del resto, ne ha raccontati parecchi. E tra questi ecco la nostra terza e ultima palma che va a My Father’s Shadow primo film nigeriano ad approdare al festival nella sezione Un certain regard. È l’esordio alla regia del videortista Akinola Davies Jr che, insieme al fratello Wale Davies (che firma la sceneggiatura) firma un’opera politica, poetica e ad alto tasso autobiografico. Siamo in Nigeria nel 1993 quando le elezioni sembrano finalmente poter portare ad un cambio di rotta. Folarin, papà di due fratellini, deve andare in città perché il padrone non lo paga da sei mesi e vuole reclamare quello che gli spetta.
La menzione speciale come opera prima
Dal villaggio a Lagos è davvero un viaggio e porterà con sé i due ragazzini che non vogliono restare da soli a casa. Ma quello è anche il giorno delle elezioni dei disordini e del golpe che stroncherà ogni speranza di cambiamento. Nel caos e nella violenza della giornata papà e figli si ricaveranno comunque i loro momenti di affetto e scoperte per loro e, commozione per il pubblico. Il film ha vinto una menzione speciale come opera prima.