La sequenza dell’inchiesta sulle veline del 2007, delle candidature alle elezioni del 2009, del compleanno di Noemi Letizia a Casoria, delle foto delle feste di Villa Certosa, delle testimonianze e delle carte giudiziarie sulle serate di Palazzo Grazioli e sulle «cene eleganti» di Villa San Martino spalanca il sipario su una vera e propria industria del godimento che fa tabula rasa di ogni confine fra privato e pubblico, fra mercato del sesso, mercato del lavoro, mercato degli appalti e mercato politico, fra produzione del corpo-merce femminile e riproduzione dell’ossessione di fruirne.

Se si ha la pazienza di rimontare il puzzle sfornato a pezzettini dalla cronaca seguendo la storia di qualcuna fra le ragazze coinvolte, il risultato cui si perviene è che fra le residenze del premier, le sue televisioni, il suo impero editoriale, le liste elettorali del suo partito, i suoi poteri di governo e di sottogoverno non c’è nessuna soluzione di continuità: le protagoniste trapassano dall’uno all’altro di questi contesti come fra le diverse location di una stessa fiction intitolata, per restare alla definizione di Veronica Lario, «il divertimento dell’imperatore», diretta e prodotta dall’imperatore, girata alla corte dell’imperatore e cointerpretata dai cortigiani dell’imperatore.

È lo svelamento definitivo della coincidenza fra privato e pubblico che caratterizza ab origine il regime berlusconiano, creatura gemella di un imprenditore divenuto premier identificando i propri interessi con l’interesse nazionale e facendo della propria persona lo spot per la scalata del potere politico. Quello che la sequenza dei cosiddetti «scandali sessuali» porta a galla è dunque sostanza, non contorno.

Non tutto è politico, ma tutto può diventarlo: per questo fin dall’inizio è chiaro che vi si giocano i destini del premier e dell’uomo, per questo la sua riduzione a faccenda privata è l’arma decisiva di Berlusconi e dei suoi per spuntarne la dirompenza politica, per questo la sua sottovalutazione e la confusione che per oltre due anni regna nel centro-sinistra sul profilo privato o pubblico, morale o giudiziario o politico dell’affaire compromette l’impostazione e la soluzione del problema.

Anche sotto il profilo del rapporto fra pubblico e privato, tuttavia, l’«anomalia» berlusconiana va collocata nella più vasta cornice delle trasformazioni in corso nelle democrazie contemporanee. Per quanto si presenti in Italia nella forma estrema e patologica del conflitto d’interessi del cavaliere-premier, la rottura del confine fra pubblico e privato è uno dei processi che in tutto l’Occidente mettono a dura prova la politica minandone lo statuto alle fondamenta, se è vero che alle origini della modernità essa si costituisce come sfera autonoma proprio decidendo i confini di ciò che è politico e di ciò che non lo è, di ciò che viene ammesso alla solarità della rappresentazione pubblica e di ciò che deve restare nel retroscena della privatezza, nel cono d’ombra dell’invisibilità o nella spettralità del rimosso.

Nello sconfinamento di pubblico e privato, dunque, sono in gioco l’ambito della politica, i suoi poteri di intervento su ciò che ad essa si sottrae o che va protetto dalla sua invadenza, il processo di politicizzazione di istanze e soggetti considerati non politici che premono ai suoi bordi.

Ed è in gioco la sua sopravvivenza come sfera autonoma rispetto all’economia, alla morale, alla religione, all’amministrazione della giustizia. Un’analisi sommaria delle spinte principali che concorrono alla destabilizzazione del confine fra pubblico e privato in Italia e non solo in Italia negli ultimi decenni mostra come tutti questi diversi fattori si cumulino fino ad esplodere nel Berlusconi-gate.