Arrivato all’ultima delle sue tre giornate, questa seconda edizione del Festival della Letteratura Working Class può già trarre un bilancio più che positivo, malgrado vari e maldestri tentativi di boicottaggio, dalle minacce di denuncia da parte della nuova proprietà all’ingresso notturno di sconosciuti, per sabotare il quadro elettrico a pochi giorni dall’evento nei locali ex Gkn di Campi Bisenzio.

Come lo scorso anno, anche in questa occasione gli incontri previsti nel programma sono stati caratterizzati dalla intensa partecipazione del pubblico, non soltanto quantitativa ma passionale, che abbatte la cosiddetta quarta parete per creare un particolare spirito di comunità con autori, autrici, relatori e relatrici intervenuti. Un fenomeno a tratti spiazzante, almeno per chi ha esperienza di altre iniziative culturali che hanno a che fare in particolare con il mondo dei libri.

Ne abbiamo parlato con Alberto Prunetti, ideatore e direttore del Festival, oltre che della collana “working class” delle Edizioni Alegre, organizzatrice dell’appuntamento insieme al Collettivo di fabbrica Gkn e la SOMS Insorgiamo. “Dopo il successo della prima edizione ero molto sicuro di riuscire a fare la seconda, se ci fossero state le condizioni. Nel senso che gli scenari potevano essere tanti, e si sperava a distanza di un anno in qualche cambiamento positivo. L’ideale sarebbe stato che la cooperativa formata dagli operai avesse trovato il sito per poter iniziare a produrre, e invece si trovano ancora in una situazione di mobilitazione a oltranza”.

Una realtà ancora difficile da decifrare, nel presente e nel prossimo futuro, anche perché spesso parlando della ex Gkn si dice “la fabbrica è occupata”, mentre una parte degli operai lavora tuttora nella manutenzione, altri sono presenti sul sito, purtroppo spinti dalla proprietà a cercare un’altra collocazione lavorativa. Una fabbrica che rischia di languire, di estinguersi definitivamente, forse perché non deve dare il buon esempio, visto che gli operai sono pronti a rilevarla, magari con un intervento pubblico della Regione, o dello Stato. Nel frattempo la protesta continua, avvalendosi anche delle forme della cultura.

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Per questo “il Festival nella testa degli operai dovrebbe continuare ogni anno - prosegue Prunetti - mentre nel piano della proprietà non dovrebbero esserci né gli operai, né il Festival stesso. Speravo dunque di trovare una situazione diversa, migliore, ma abbiamo cercato di fare il meglio con quello che c’è”. Il direttore dell’evento si sofferma anche sui tentativi di boicottare la manifestazione: “Forse questa proprietà non si rende conto di cosa sia l’attivismo culturale, il lavoro culturale (non retribuito). Una definizione che utilizzo intendendola come la intendeva Luciano Bianciardi nel suo meraviglioso primo romanzo del 1957, che per me è stato il segno di quello che bisognava fare con la letteratura, quando Bianciardi portava i libri ai minatori in Maremma. Ecco, bisogna portare la cultura, in ossequio allo Statuto di Lavoratori, a chi non è in possesso di un capitale culturale. Anche se va aggiunto che in Italia neanche la borghesia ha più ormai un grande capitale culturale”.

Viene da pensare che forse il senso più profondo del Festival sia proprio questo, tra una proprietà incapace di capire per quale ragione un gruppo di persone si riunisca “senza scopo di lucro”, ma soltanto per solidarietà e impegno verso gli altri, non avendo mai ragionato in questi termini, laddove la spinta per la creazione di questo evento arriva proprio da persone che si ritrovano qui, insieme, dopo esser cresciute in famiglie operaie dove di libri ce n’erano pochi, avendo dunque anche una certa devozione nei confronti dei libri stessi.

Ancora Prunetti: “Qui vogliamo anche dimostrare come i libri non siano soltanto appannaggio di certe categorie sociali, ma uno strumento in più nell’immaginario di chi lavora. Quindi ben venga il sostegno di persone che appartengono al mondo della cultura, come avvenuto con Elio Germano e Ken Loach, ma ancor meglio che qui la cultura la facciano gli operai; ed è importante che questo sostegno arrivi non come atto di carità, ma come un atto alla pari proprio perché qui c’è un Festival organizzato dagli operai attraverso il loro lavoro culturale non retribuito. Secondo me questa reazione scomposta da parte della proprietà nei confronti di Elio Germano è anche il segno di una debolezza, di una fatica a comprendere molte cose, a partire dallo Statuto dei Lavoratori, che riconosce il diritto alla partecipazione culturale”.

Mentre questa domenica conferma ulteriormente il grande successo di pubblico si può dunque trarre un primo bilancio, anche rispetto ai contenuti proposti. “Quest’anno siamo molto contenti di esser riusciti a proporre nel nostro programma il panel dedicato alla letteratura working class svedese, che è molto riconosciuta in Svezia, al punto da essere inserita anche nei programmi scolastici e universitari, facendo parte a tutti gli effetti della storia della letteratura nazionale svedese. D’altronde in Svezia esiste un’associazione di scrittori working class con 400 iscritti; qui sono arrivati alcuni, e c’è stato molto interesse nei confronti di questa realtà che poco conosciuta, visto che dalla Svezia si traducono soprattutto noir, mentre in realtà la scrittura working class è molto radicata".

Basti pensare al fatto che “il sindacato svedese ha per anni pubblicato con tirature altissime opere di poeti svedesi distribuendole nei luoghi di lavoro; e forse in pochi sanno che due scrittori svedesi working class degli anni Settanta hanno vinto il Premio Nobel (Eyvind Johnson e Harry Martinson, 1974, ndr). Questo per dire che la letteratura working class negli altri paesi esiste, in forma più radicata che da noi, e anche con lustro. Però qui in Italia, anche con questo Festival stiamo dimostrando che la letteratura working class che fino a poco tempo fa veniva associata a pochi nomi, tra cui il mio, esiste e ha una sua dignità”.

Concludiamo chiedendo a Prunetti se la collana da lui diretta abbia, è il caso di dire, prossimi libri in cantiere. “In questo ultimo anno sono usciti più titoli. Uno, e non poteva essere altrimenti, è un romanzo sulla fabbrica Gkn, che abbiamo presentato qui con l’autrice Valentina Baraonti, che è l’ufficio stampa del Collettivo di fabbrica, con radici operaie e contadine. C’è anche un bellissimo libro inglese sugli anni dello sciopero dei minatori negli anni ’80, Come ho ucciso Margaret Tatcher di Anthony Cartwright, mentre tra le nuove uscite è prevista una raccolta breve di racconti collegati al premio di letteratura ‘Il pane e le rose’ che si svolge nel comune di Montelupo”.

E ancora: “Poi dobbiamo riflettere sul tema della ristorazione, uno di quegli ambiti in cui c’è tanto lavoro sfruttato, e su cui non si riesce ad avere narrativa seria,a parte libri di chef stellati, che rappresentano il nulla. Noi vorremmo invece il racconto materialistico dei luoghi produttivi, per vedere oltre la patina di storytelling dedicata al cibo. Un altro tema che vorremmo esplorare è quello di Taranto, una realtà che andrebbe raccontata in narrativa, ovviamente continuando a guardare al mondo di altre culture e altre lingue, da tradurre in italiano”.

Auspicando prossime edizioni del Festival Letteratura Working Class, la vera speranza che si è respirata in queste giornate è di farla in una sorta di fabbrica dei sogni, sotto controllo operaio, dato che pare evidente che pur cambiando da anni la proprietà rimane l’idea di non voler produrre più, di non legarsi più alla tradizione produttiva di questo territorio, tramandatisi di padre in figlio, bensì semplicemente di trovare compratori interessati al perimetro per farci altro, magari l’ennesimo centro commerciale.

Ma qui a Campi Bisenzio c’è chi vede questa fabbrica come un pezzo della propria storia. E la difende a denti stretti.