Ogni edizione del Salone Internazionale del Libro di Torino è una storia unica, dove si incrociano editori, scrittori, incontri, idee. Libri. Su tutti, sono le migliaia di lettori-visitatori a renderlo vivo, come accade sin dagli esordi. Ma questa edizione, la numero 35 (“Attraverso lo specchio”, 18-22 maggio, Lingotto-Fiere), sarà ancor più diversa dalle altre, dato che dalla prossima e per un triennio (2024-2026) la guida artistica verrà affidata, dopo un’elezione un po’ a sorpresa, ad Annalena Benini, giornalista de Il Foglio, autrice Einaudi con il libro Annalena, in uscita proprio in questi giorni.

Abbiamo dunque raggiunto il direttore artistico uscente, Nicola Lagioia, Premio Strega nel 2015 con La ferocia, che dopo sette anni lascerà il suo incarico. Sette anni vissuti pericolosamente, viene da aggiungere, viste le mille peripezie affrontate in virtù di coincidenze storiche e temporali non proprio favorevoli. Cominciamo da qui la nostra conversazione, dalle sensazioni del momento dopo un’esperienza bella quanto impegnativa: “Sono belle sensazioni - dice subito Lagioia - perché in questi sette anni il Salone si è rafforzato, si è ingrandito. Quindi il fatto di lasciare un’istituzione come il Salone del Libro molto più forte di quella che avevo preso è di certo una bella sensazione”.

Come accennavamo, non sono state tutte rose e fiori… “Direi di no. Vorrei ricordare che in questi anni il Salone è stato salvato per ben tre volte: la prima quando stava praticamente scomparendo, in via di estinzione perché c’era stata tutta la faccenda 'Tempo di Libri', la rivalità con Milano, e tutto il contorno che ben ricordiamo (eravamo nel 2018). La seconda è stato l’anno successivo, quando sotto il peso dei debiti degli anni precedenti era fallita la vecchia fondazione e abbiamo dovuto ricominciare da capo. Infine, quella segnata dal Covid. Nonostante tutto questo, ogni edizione è andata meglio delle precedenti”.

Viene da chiedersi allora quale sia lo stato attuale dell'arte, ora che giunge il momento di salutarsi. “Adesso il Salone Internazionale del Libro di Torino è una delle istituzioni culturali più solide che ci siano in Italia, e una tra le 4-5 fiere editoriali più importanti al mondo, e di questo non posso che esser felice; ma a un certo punto ho deciso di andarmene perché ho pensato che sette anni fossero abbastanza, che è meglio andar via quando le cose vanno bene, anziché quando cominciano a scricchiolare, anche perché prima o poi avviene un logoramento, e prima che questo accada preferisco chiudere qui”.

A proposito di Fiere del libro nel mondo, l’occasione è quella giusta per chiedere a Lagioia cosa ne pensi della polemica riguardo l’invito alla Buchmesse di Francoforte (la più importante in assoluto) al fisico e scrittore Carlo Rovelli, ritratto e poi riproposto dal presidente dell’Aie (Associazione italiana editori) Ricardo Franco Levi: “Come ho avuto modo di scrivere anche per La Stampa (15 maggio), secondo me la questione è un po’ più ampia rispetto a quanto si racconta, e riguarda un cattivo intendimento del rapporto tra intellettuali, politica, potere e istituzioni, che non riguarda soltanto la destra e chi sta al governo ora, ma tutta quanta la politica italiana. Noi abbiamo la classe politica che legge di meno in Europa, tra le classi dirigenti che leggono meno: quindi il libro, e tutto ciò che al libro ruota intorno, è un argomento un po’ alieno per molti di coloro che rappresentano le nostre istituzioni. Di conseguenza si creano, quando i ruoli non sono ben chiari, questi corto circuiti. Un intellettuale come Rovelli, se viene invitato, deve essere libero di parlare; poi, ovviamente, chi non è d’accordo con lui è altrettanto libero di attaccarlo, di provare a smontare le sue tesi, le sue idee. Per esempio sulla guerra in Ucraina ho un’opinione diversa dalla sua, ma non per questo non lo invito al Salone del Libro di Torino. Anzi”.

Tornando ai libri, malgrado la spinta che può dare un appuntamento come quello di Torino, l’Italia continua a registrare un forte calo di lettori, forti o deboli che siano. “Il problema è più generale - prosegue Lagioia - e riguarda il fatto che per esempio il nostro Paese destina alla cultura una percentuale del Pil inferiore a quello della Germania o della Francia. A questo si aggiunge il fatto che non esiste una legge-quadro che in nome della promozione della lettura tenga insieme in maniera virtuosa i grandi giocatori della partita, vale a dire gli editori, i librai, le biblioteche e le scuole. Questo non è stato fatto dai governi di sinistra, e il governo attuale non so cosa stia facendo, ma non è che si vedano grandi manovre...”.

Oltre le istituzioni, però, un segnale, più di un segnale, dovrebbe arrivare direttamente anche dagli addetti ai lavori, gli editori in particolare: “Tutti si riempiono la bocca con la parola cultura, con i libri, ma poi è difficile che a livello istituzionale qualcosa venga fatto. Qui però secondo me dovrebbero essere gli editori a darsi una mossa, perché gli editori sono molto bravi in Italia nella ricerca, nel sopravvivere malgrado tutto, ma poi hanno un po’ di difficoltà nel mettersi insieme e avanzare le loro richieste. Così, anziché andare a incartarsi (è proprio il caso di dire) in alcune questioni tipo il caso Rovelli, chi rappresenta gli editori dovrebbe provare a portare delle proposte e fare delle richieste alle istituzioni del nostro Paese”.

Alla vigilia di questa XXXV edizione, chiediamo al direttore artistico ancora in carica cosa crede o cosa spera di aver costruito, in virtù di chi prenderà il suo posto: “Credo che il nostro lavoro, insieme a tutte le persone che hanno collaborato con me in questi anni, abbia dimostrato che quando della cultura, della cultura dei libri in questo caso, si occupa chi ha a che fare quotidianamente con i libri, non i notabili o i burocrati, ma chi sa come funziona la filiera editoriale e il mondo dei libri in genere, le cose possono andare bene. Incredibilmente bene. Ovviamente c’è anche bisogno dei notabili, dei funzionari: ma lasciamo che dei libri si occupi chi con i libri lavora. Secondo me questo è il lascito che questa esperienza condivisa può offrire a chi arriverà. Anche se, lo dico chiaramente, Annalena Benini è bravissima, anche lei proviene dal mondo dei libri, per fortuna. E va benissimo così. Non ha bisogno di troppi burocrati intorno”.