“Sono sempre in lotta per plasmare la mia vita secondo il mio temperamento e i miei bisogni, in altre parole metto troppa arte nella mia vita, troppa energia, e di conseguenza non mi resta molto da dare all’arte”. Queste poche righe tratte dalla lettera che Tina Modotti scrisse il 7 luglio 1925 a Edward Weston, il fotografo americano con il quale ebbe una lunga relazione e che ebbe il merito di avvicinarla alla fotografia, raccontano bene quale potente crasi fosse la vita della Modotti.

Tornano le sue foto, in una mostra al Mudec di Milano inaugurata il primo maggio e aperta fino al 7 novembre, ma definirla semplicemente fotografa renderebbe conto soltanto in parte del forte incrocio di correnti e piene che ha distinto la sua presenza.

 

 

Passione, arte, impegno. E ancora, coraggio, curiosità, determinazione. Ma si potrebbe continuare. Dalla seteria in Friuli alla compagnia di artisti di San Francisco, al teatro, al cinema di Hollywood e poi al Messico, dove va la prima volta nel 1922 alla morte del marito, Roubaix de l’Abrie Richey, arrivato nella capitale come direttore dell’Accademia di Belle Arti e colpito poco tempo dopo dal vaiolo. Ci tornerà nel ‘23 con Weston e lì, l’anno seguente, scatterà le sue prime fotografie, al Circo russo, con una macchina Corona regalatale dal compagno.

Tina si scosta ben presto dall’influenza del suo maestro, l’astrazione si materializza, la ricerca di una forma pura si innesta nello spessore aspro e solare del mondo messicano, si mescola alla compagine sociale del paese, muta posandosi sulle donne e i bambini, seguendo i moti del popolo: incarna il lessico della rivoluzione.

L’irrequietezza della Modotti trova in Messico l’ispirazione più profonda, quella che produrrà le svolte seguenti della sua vita: frequenta i muralisti, si iscrive al Partito comunista messicano, partecipa alla campagna per Sacco e Vanzetti, viene segnalata in Italia per le sue dichiarazioni antifasciste, inizia un’attività politica clandestina.

Le foto indicano le nuove passioni fondamentali dell’autrice, raccolgono quello che dal tumulto della vita, come scriveva a Weston, restava “da dare all’arte”. Il residuato di tanta energia, lungi dall’essere un esercizio a latere è stato probabilmente lo strumento che ha accompagnato Modotti attraverso la costruzione di una coscienza politica che dal Messico l’avrebbe poi condotta alle tappe successive della sua breve e intensa vita: in Germania, in Russia, in Francia, in Austria, in Spagna, per poi ricondurla in Messico, dove tutto era iniziato. A quel punto la fotografia non era più così necessaria, l’impegno sul campo aveva occupato tutto il suo orizzonte.

L’importanza e la bellezza del lavoro fotografico di Tina Modotti non sono solo nelle qualità compositive e nella scelta di campo che i suoi soggetti rappresentano, ma nella più profonda aderenza a un percorso esistenziale, alla maturazione di una vocazione assoluta.

Nelle mani ossute, piegate e usurate della giovane domestica Elisa che Tina fotografa nel 1924 (qui l’immagine), nello sguardo mesto della ragazza avvolta in una veste nera contro una parete scabra di pietre, ci sono tutti gli umili lavoratori incontrati varcando il confine tra gli Stati Uniti e il Messico, transito che ha segnato l’ingresso fatale in un altro mondo.

Elisa e gli altri obreros fotografati nel paese a un passo dalla California sono le sorelle e i fratelli di tutte le compagne e i compagni di cui Tina si sarebbe occupata una volta lasciato il Messico: con il lavoro per il Soccorso rosso internazionale, l’attività clandestina in Europa per i prigionieri politici, la partecipazione alle manifestazioni contro Dollfuss a Vienna, la collaborazione con il Soccorso rosso in Spagna, dove si arruola nel Quinto reggimento e poi, ancora, tornata infine in Messico, con il lavoro per i rifugiati della guerra di Spagna e la costante attività antifascista.

Osservando l’arte e la vita “sempre in lotta” di Tina Modotti, si potrebbe dire che non c’è fotografia più bella e necessaria di quella che trova le proprie ragioni nella battaglia senza tempo per la giustizia sociale.

“Tina Modotti. Donne, Messico e Libertà”, Mudec, Milano, 1 maggio-7 novembre 2021