Ciò che affiora dopo la lettura di Bruno Trentin e l’eclisse della sinistra (Castelvecchi, pp.184, euro 18,50), è un sentimento che mescola una certa nostalgia al desiderio di fare la propria parte, in qualche modo.

Questo volume ha infatti il merito di restituire la figura di un uomo la cui esperienza politica delinea il percorso di chi ha voluto dedicare la propria esistenza all’affermazione delle proprie idee nel rispetto delle idee altrui, senza far sconti a nessuno. La storia intensissima di Bruno Trentin (1926-2007), dalla partecipazione alla Resistenza al ruolo di parlamentare europeo, segnata da una militanza lunga e irripetibile nell’organizzazione della Cgil sino alla segreteria generale (1988-1994), lo conferma in ogni suo passaggio.

Il libro viene curato da Andrea Ranieri e Ilaria Romeo, e si compone di pagine inedite di quel diario quotidiano tenuto da Trentin nel corso della sua vita, come lo stesso Ranieri sottolinea nel saggio introduttivo, estrapolando pensieri dell’ultimo decennio (1995-2006) uniti alla documentazione dell’Archivio storico della Cgil attinente per contenuti, un lavoro svolto in maniera puntuale da Ilaria Romeo e ben spiegato nella sua biografia critica.

Ne viene fuori una pubblicazione diversa da Bruno Trentin. Diari 1988-1994, la cui curatela venne affidata nel 2017 dall’editore Ediesse a Igino Ariemma, scomparso nel 2019 e al quale viene dedicata questa edizione; ripartendo cronologicamente da lì, in questo caso sembra emergere un Trentin ancora più intimo (i riferimenti alle letture preferite, da Paul Auster a Philip K. Dick e Walter Benjamin sono illuminanti), se possibile più caustico, forse meglio dire disilluso se non ai limiti del depresso, come Trentin stesso scrive in qualche circostanza, non tanto a causa dello scorrere inesorabile del tempo, quanto per la visione di un quadro politico e sociale progressivamente sconfortante.

Da qui il titolo, che d’impatto pone una delle questioni centrali affrontate durante il suo impegno sindacale prima, e in quello di partito poi: la scomparsa, sino per l’appunto all’eclisse, della sinistra in Italia, un processo storico che oggi possiamo certificare essersi nella pratica pressoché compiuto.

Il primo marzo del 1996 Trentin annota: “Una fase di acuta depressione. Un blocco quasi totale, incapacità di scrivere. Quasi di leggere – se non di malavoglia e distrattamente. Un sentimento di impotenza e di vanità: anche nei confronti dei miei studi e dei miei saggi. Tale è la dismisura fra i miei rovelli e il degrado pauroso della vita politica, della cultura di sinistra in Italia che finisco per perdere anche ogni capacità di relativizzare e di riacquistare una distanza rispetto agli avvenimenti politici quotidiani che vivo con una sofferenza crescente”.

Come si ricorderà il periodo è quello dell’Ulivo, e poche settimane dopo la vittoria di Prodi scongiurerà il ritorno al governo del primo Silvio Berlusconi. Per Trentin, però, indipendentemente dall’esito del voto nulla di buono si prefigura all’orizzonte, individuando nell’appiattimento nei confronti del neoliberismo dirompente, seppur ammantato dalla patina riformista di Tony Blair, la pericolosa deriva di una politica interessata maggiormente a rappresentarsi, in varie forme e misure, invece di rappresentare. Sinistra compresa.

Dato questo punto di osservazione, non stupisce  ma sorprende comunque la capacità di Bruno Trentin di guardare oltre, più avanti, come mostrano le proposte avanzate durante tutta la sua attività sindacale, ben sintetizzate nelle tesi esposte nella celebre Conferenza di Chianciano del 1989, partendo in ogni caso dalla lezione appresa operando da subito al fianco di Giuseppe Di Vittorio, sempre citato e oggetto per lui di scritti e studi.

Come nell’appendice documentaria testimoniano anche le carte dell’Archivio Cgil, lo sguardo di Trentin, soprattutto nell’ultimo decennio ma ovviamente frutto di antecedenti riflessioni, volge alla formazione e all’innovazione, del lavoratore e dell’impresa, più in generale alla presenza dominante delle nuove tecnologie nel mondo del lavoro, con conseguenti preoccupazioni rivolte ai rischi di crescenti disuguaglianze, e all’inevitabile crisi dei sistemi di rappresentanza e di tutela dei diritti dei lavoratori. Per il suo contributo alla fase precongressuale dei Democratici di Sinistra del 2001, nel paragrafo “Le nuove libertà, le nuove sicurezze”, si trovano queste parole:

“Il mondo del lavoro è senza ombra di dubbio diviso e di difficile se non improbabile possibilità di rappresentarlo tutto. La ricostruzione di un rapporto fra identità sociale e politica passa sempre meno per i grandi aggregati sociali e le grandi narrazioni ideologiche, passa attraverso le persone. Queste potranno ritrovare una loro unità nella diversità solo se saremo capaci di proiettare le loro ambizioni sul futuro, non sulla difesa dell’esistente. L’alternativa che quindi si pone non è nella scelta fra il passato e il futuro, ma tra diversi futuri. E a diversi futuri corrispondono diversi tipi di modernità, che non è un fattore neutro.

Il “nostro” futuro deve contrapporre all’individuo, che compete e che è monade, la persona, che certamente si afferma nella sua individualità, ma che coopera e cresce in solidarietà con gli altri, perché solo dentro questa rete si libera dall’oppressione del comando gerarchico, dall’idea di flessibilità come precarizzazione, dalla discriminazione fra chi è detentore di sapere e chi ne è  escluso”.

Rileggendo dopo vent’anni queste parole, a una certa nostalgia si mescola il desiderio di fare la propria parte.

 

Ilaria Romeo e Andrea Ranieri presentano il volume nel corso del 3° Festival della Formazione sindacale della Cgil