Al centro dell’Europa, luogo di transito per persone e merci, tra montagne, colline, e pianura, ricca di acqua e di agricoltura. Queste caratteristiche geografiche hanno favorito lo sviluppo di Brescia, indicata dalle classifiche pre-Covid capitale dell’industria in Europa, provincia a maggiore vocazione produttiva. La città lombarda ha avuto anche il primo distretto in Italia per i prodotti in metallo e per la metallurgia, con 100mila addetti, mentre il manifatturiero registrava aumenti a due cifre. “I capitali economici sono arrivati qui proprio per la ricchezza e la posizione di questo territorio – afferma Francesco Bertoli, segretario generale Camera del lavoro di Brescia -. Ma insieme al progresso è arrivato anche, immancabile, l’inquinamento”. Nel Bresciano si contano 72 siti contaminati (esclusi il sito di interesse nazionale della Caffaro), ripartiti tra 46 comuni: un comune su quattro ha sul suo territorio un’area dove le concentrazioni di inquinanti compromettono le diverse matrici ambientali (aria, suolo, sottosuolo, acque di falda e superficiali).  I dati aggiornati a ottobre 2020, arrivano dal censimento della Regione Lombardia. Eventi accidentali, sversamenti, scarichi abusivi di rifiuti sono tra le principali cause.

“Quindi non abbiamo solo la Caffaro – spiega Bertoli -. Ai piedi del Montenetto abbiamo un sudario di scorie, eredità del disastro ambientale del 1989, quando venne fusa una partita di alluminio contaminato dal cesio 137, isotopo radioattivo artificiale. I residui di quella lavorazione furono stoccati nella cava che l’azienda ex Metalli Capra di Capriano del Colle utilizzava come discarica, diventata così la più grande d’Italia per inquinamento da cesio.

82.500 tonnellate di scorie contaminate, 220mila metri cubi stoccati in un bunker e messi in sicurezza agli inizi degli anni Novanta dall'Enea. L’azienda è stata dichiarata fallita nel 2019, per far riprendere l’attività è stata messa in vendita, ma chi compra dovrebbe accollarsi anche la discarica con tutti gli oneri che questo comporta. “Nel frattempo, gli operai sono in cassa integrazione da due anni, erano 120 adesso sono una sessantina – conclude il sindacalista della Cgil -. È stato messo in sicurezza il percolato, ma se non si trova una soluzione per la bonifica del sito il problema degli inquinanti radioattivi rimarrà alla collettività”.