Lo sciopero annunciato per oggi (3 febbraio) non c’è stato. L’incontro dello scorso mercoledì 1° febbraio tra azienda e sindacati ha fatto aprire degli importanti margini di trattativa, dopo l’iniziale chiusura al dialogo da parte di Unicoop. Ma lo sciopero è stato solo sospeso, non rimandato. Perché la situazione resta grave. Il colosso cooperativo ha annunciato un piano lacrime e sangue, perché è in debito di ossigeno: 24,2 milioni di euro è il passivo del bilancio 2015. Seicento esuberi, annullamento del contratto integrativo, chiusura di 12 punti vendita e cessione di altri 8. Questo, in sostanza, il piano industriale 2017-2019 presentato da Unicoop Tirreno, gruppo cooperativo della grande distribuzione con più di un milione di soci, un centinaio di punti vendita e oltre 4.500 dipendenti tra Toscana, Lazio, Campania e Umbria. Un piano su cui però l’azienda, nell’incontro del 1° febbraio a Firenze, ha dichiarato di essere disposta a trattare, soprattutto di fronte alla fermezza dei sindacati e alla prospettiva di una lotta dura dei lavoratori.

Il piano industriale era arrivato dopo il soccorso di dicembre del resto del sistema cooperativo, con le big riunite in Alleanza 3.0, Unicoop Firenze, Coopfond, Novacoop, Coop Lombardia, Coop Liguria e Coop Centro Italia, che hanno accettato, insieme a Coop Amiatina e Coop Reno, di sottoscrivere strumenti finanziari partecipativi per 170 milioni di euro. Somma necessaria “per assecondare le nuove regole di rapporto tra prestito sociale e patrimonio fissate dalla Banca d’Italia”, come ha spiegato a dicembre Unicoop, ma che non rispettava i limiti stabiliti per evitare il ripetersi di crac simili a quelli di Coop Operaie e Coop Carnica.
Insomma, l’ennesimo pasticcio finanziario a cui è stata messa una “pezza”, ma che qualcuno ora si trova a dover pagare a caro prezzo. “Un piano inaccettabile, una mattanza occupazionale”, l’avevano definita in una nota i sindacati di categoria, Filcams Cgil, Uiltucs Uil e Fisascat Cisl: “Come al solito il peso ricade tutto sui lavoratori. I problemi dell’azienda non sono legati a personale in eccedenza, bensì alle gestione di un gruppo dirigente non all’altezza, che non ha saputo affrontare la crisi e si è lanciato in avventure finanziarie pericolose”. A essere colpiti sarebbero i piccoli punti vendita, aperti in questi anni soprattutto in molti centri toscani. Senza valutare a dovere la loro competitività e la sostenibilità aziendale e senza una pianificata strategia che tenesse conto dell’utenza e della concorrenza. E non è una novità che da alcuni anni il mercato dei generi alimentari sia paralizzato e stagnante e che sia in crescita la competizione tra le aziende del settore. È per rispondere anche a queste due grosse sfide che il nuovo direttore generale di Unicoop, Piero Canova, ha promosso un adeguamento degli organici secondo le esigenze effettive di un mercato mutato e maggiormente competitivo.

Così ora è drammatica la situazione che stanno vivendo i lavoratori: Unicoop Tirreno ha annunciato 481 esuberi a tempo pieno. Secondo i sindacati – visto che un full time corrisponde a due part time e questi ultimi all’interno della cooperativa non sono affatto pochi – il totale salirebbe a 600-700 persone. Ecco la suddivisione dei 481 esuberi: 160 nella sola sede centrale di Vignale Riotorto, 95 nei punti vendita che rimarranno aperti, 116 nei supermercati da vendere e 110 in quelli da chiudere. Ora tuttavia, pur non essendo a una svolta, si è aperta la trattativa. L’azienda ha dichiarato di essere disponibile a rivedere il piano di esuberi, prevedendo dei validi ammortizzatori sociali per quelli necessari, mentre sembra abbia rinunciato all’intenzione di recedere dal contratto integrativo, concedendo una sua rinegoziazione. Le criticità su cui discutere sono tante e sembra che da ambo le parti si voglia fare presto: i primi incontri sono già fissati per il 7 e 14 febbraio.