“La mia storia potrà sembrarvi banale, ma per me ogni mese è la stessa angoscia. Lavoro 20 ore a settimana, ho una bimba piccola, sono single e arrivo più o meno a 600 euro, compresi gli assegni famigliari. Anche se un po’ mi vergogno a dirlo, comincio ad aspettare il giorno 6 (quello della paga) già a metà del mese precedente e più si avvicina la data più temo ogni volta che, per un motivo o per l’altro, i soldi non vengano bonificati. Proprio ieri era il fatidico 6 e fino a questa stamattina i soldi non erano ancora arrivati. Credo di aver guardato sul mio conto on-line almeno 50 volte, ma ancora niente. Ho chiamato la mia delegata che mi ha consolato dicendo che prima o poi Mc paga. Ma per me il prima o poi fa differenza”!

Questa è una della tante storie raccolte dalla Filcams Cgil nell’ambito della campagna di informazione per i lavoratori di Mc Donald’s “Fast Generation” (www.fastgeneration.it). “Faccia a faccia con la realtà”: così recita lo slogan contenuto nelle cartoline che hanno dato il via a questa importante iniziativa. “Farsi raccontare le loro storie è un modo per coinvolgere i lavoratori sempre più distanti e isolati, far capire che ci siamo e che il sindacato vuole risolvere i loro problemi”, spiega Fabrizio Russo della Filcams nazionale.

Sindacato: l'assenza pesa
Solo il 20 per cento dei circa 400 ristoranti Mc Donald’s presenti in Italia è gestito direttamente dall’azienda, con ben 17 mila dipendenti; il restante 80 per cento lavora in franchising e il sindacato lì non è mai riuscito ad entrare. Questo significa, aldilà dell’assenza di sindacalizzazione del personale, turni di lavoro quasi unicamente a tempo parziale, scarso controllo delle tutele igieniche, demansionamenti ingiustificati, forte ricattabilità, tutela della malattia e della maternità violate, spostamenti arbitrari di sede di lavoro e, in alcuni casi, addirittura straordinari pagati in nero e assenza di riposi compensativi tra un turno e l’altro. “Si tratta di tante piccole imprese padronali dove il padrone, appunto, è sempre presente e il dipendente è vulnerabile e poco garantito – prosegue Russo –. Entrare in comunicazione con queste persone è fondamentale per riuscire a rendere efficace la nostra azione nei confronti di un’azienda che ha sempre agito unilateralmente, senza preoccuparsi di interloquire con noi”.

Mc Donald’s è una delle poche multinazionali che in Italia sembra non aver risentito della crisi e nel suo settore è quella che impiega più lavoratori; al contrario di Autogrill, per esempio, altro leader nel settore mordi e fuggi, che non arriva a 10 mila addetti e ne ha recentemente licenziati 160. Ultimamente Mc Donald’s ha lanciato una campagna mediatica per l’apertura di nuovi punti di ristorazione e altrettante assunzioni. “Noi, come tutti, lo abbiamo saputo tramite i mass-media, visto che le direttive della casa madre sono di non avere nulla a che fare con i sindacati, a differenza di altre catene di fast food molto importanti con cui abbiamo relazioni da anni. Naturalmente ci siamo dichiarati soddisfatti delle nuove assunzioni, ma abbiamo anche sottolineato che la qualità, oltre che la quantità, di queste doveva essere oggetto di discussione e non sbandierata sulle prime pagine dei giornali come il miglior piano industriale possibile”.

Anche perché, a ben guardare, aldilà del teatrino di alcuni politici che si sono sbracciati per lodare i nuovi posti di lavoro promessi, non è certo tutto oro quello che riluce. La multinazionale statunitense non ammette contrattazione di secondo livello. Non solo: per impiegare i lavoratori abusa dei voucher e dei contratti a tempo parziale (che rappresentano l'80 per cento dei contratti totali), senza basarsi sul classico modulo a 24 ore settimanali, ma sui turni di 8 o 16 ore, a volte anche 20 ogni sette giorni. E lo stipendio varia di conseguenza: dai 200 euro mensili, per le 8 ore, ai 400 per le 16 ore. Senza parlare dell’impossibilità per la maggior parte di questi lavoratori di passare a tempo pieno dopo qualche anno.

Cartoline dal mondo
Nelle cartoline diffuse dalla Filcams campeggiano i volti di alcuni di questi lavoratori, diversi tra loro come diverse sono le singole storie. Solo la divisa è la stessa, ma non basta a nascondere l’ingiustizia che raccontano: c’è Kanchan, 23 anni, che lavora solo la domenica; Tommaso, 26 anni e da 3 anni precario; Miriam, 40 anni, 2 figli, che lavora solo la sera; Dimitru, 53 anni, a tempo determinato da tre; Joel, 40 anni, 3 figli, che lavora solo il week end; Valeria, 32 anni e solo 8 di lavoro a settimana; Alì 28 anni, 2 figli e solo turni di notte, il medesimo destino di Nadika, stessi turni, stesso numero di figli, ma solo 37 anni di età. Solo Nora ha 29 anni, un figlio e un contratto full-time. “Abbiamo scelto queste storie come spin off della campagna affinché tutti vi si potessero identificare e le abbiamo anche tradotte in inglese per condividerle con i lavoratori di altri paesi – aggiunge Russo –. Mc Donald’s, infatti, ha iniziato assumendo italiani, per passare poi a una seconda fase in cui ha reclutato prevalentemente stranieri: filippini, nordafricani, persone provenienti dall’Est Europa. Adesso sta andando oltre: assume soprattutto studenti, ancora più ricattabili. Per questo la nostra prossima mossa sarà uniformare rivendicazioni e diritti”.

Una storia esemplare è quella di Mariagrazia, “crew” e delegata Filcams a tempo indeterminato a 20 ore settimanali, da quasi 4 anni in Mc e da poco rientrata dalla maternità. “Pochi giorni fa ho fatto richiesta per l’orario di lavoro verticale così da incrociarmi con i turni di mio marito ma, come prassi, non ho avuto modo di confrontarmi in maniera diretta con i responsabili e non ho trovato risposte su come risolvere questa questione che a mio parere è una delle principali per una neomamma”. Questo invece il racconto di Gioele: “Non sono iscritto alla Filcams perché nel mio luogo di lavoro è vietato unirsi a un sindacato, pena il licenziamento o il mancato rinnovo. È difficilissimo che i lavoratori si avvicinino spontaneamente al sindacato, anche solo per informarsi, perché da noi aleggia sempre, anche se velatamente, il rischio del licenziamento. L’atmosfera è quasi sempre intimidatoria e tesa. Non siamo liberi di organizzare il nostro tempo libero e riceviamo lettere di contestazione anche se, solo per un giorno, non ci radiamo”.

Divide et impera
La leadership della ristorazione per famiglie sembra aver fatto del divide et impera una delle sue strategie preferite, come ci racconta Graziella, in azienda già da qualche anno: “Nei periodi di festa o di ferie nel mio ristorante si scatena una vergognosa guerra tra poveri. Appena la direttrice ‘mette fuori’ i riposi di Natale o Capodanno immancabilmente c’è la corsa a chi si accaparra quelli a cavallo del 31 dicembre. Lo stesso succede quando si tratta di organizzare le ferie estive. La direzione dice di metterci d’accordo tra di noi ma non c’è niente da fare, nessuno si sacrifica mai volontariamente. A questo punto non rimane che il sorteggio, che però non è un metodo equo. Continuo a ripetere inutilmente alla mia direttrice che bisognerebbe prevedere un avvicendamento: se un anno lavori in un certo periodo o durante una certa festività, l’anno successivo dovrebbe toccare a qualcun altro. Secondo me potrebbe essere una soluzione di buon senso, ma evidentemente non è nel Dna dei direttori McDonald’s che preferiscono che ci scanniamo tra noi”.

E allora non è un caso che in pochi parlino bene dell’azienda e nessuno tra quelli che poi c’è rimasto a lavorare: “Quando ero studente, circa 15 anni fa, a Milano andare a lavorare da McDonald’s è stata per me l’unica possibilità di lavorare e studiare. Lo stipendio per un contratto a 24 ore più qualche ora supplementare (quando potevo), mi permetteva di vivere autonomamente. Altre opportunità non esistevano. Il lavoro era certo duro, ma comunque non più duro di altri che ho fatto quando ero più giovane e volevo pagarmi le vacanze. Il vantaggio era la flessibilità oraria e la possibilità di lavorare al di fuori degli orari delle lezioni. Lavorando sodo mi era stata data anche la possibilità di fare carriera possibilità che però, studiando, non ho preso in considerazione. Oggi ricordo quel periodo con grande soddisfazione e anche con una certa riconoscenza per l’opportunità che quell’azienda mi ha dato”. Un’opportunità, però, che non è accessibile a tutti, come i prezzi sbandierati sui neon dei menù in cima alle casse, ma solo per pochi: stessa divisa, diverso destino. Benvenuti da Mc Donald’s, una grande famiglia divisa.