In Italia se ne parla poco, perché da noi gli analisti che contano, quelli con la rubrica fissa nei giornali che fanno opinione, sono da sempre più attratti dalle schermaglie minute di cui si nutre quotidianamente il dibattito politico-economico della nostra – sempre più marginale – provincia. E invece della giornata mondiale di mobilitazione indetta per il prossimo 18 aprile contro i trattati di libero scambio dovrebbero occuparsi – in un paese normale – i principali tg della sera assieme ai media mainstream.

L’appello alla mobilitazione – promosso dalle associazioni della società civile, dai sindacati, dagli agricoltori e da semplici attivisti – cade mentre, a livello mondiale, il Wto sta portando avanti i negoziati “tecnici” applicativi dell’accordo sulla Trade Facilitation, raggiunto a Bali nel dicembre del 2013, come preludio per il proseguimento del Doha Round avviato nel 2001, mentre i paesi “più avanzati” stanno spingendo per la definizione di nuove regole globali, attraverso accordi bilaterali o plurilaterali.

Su quest’ultimo versante, si distinguono su tutti gli Stati Uniti, particolarmente attivi su più fronti, a cominciare dal Tpp, Accordo trans Pacifico con altri 11 paesi (Cina esclusa), e dal Ttip, Accordo di partenariato transatlantico su investimenti e commercio con l’Unione europea. Pieno zeppo di insidie si presenta specialmente il fronte relativo al Ttip, perché qualora andasse a regime potrebbe comportare un’autentica carneficina sociale, dove a rischio saranno i diritti ambientali, quelli sociali e del lavoro.

I sostenitori del mantra sugli effetti benefici degli accordi commerciali
(la famosa, e ormai logora, formuletta win-win, tutti finiranno per guadagnarci) si ostinano a non tener conto dell’evidenza dei fatti: della conclusione dei negoziati potranno giovarsi solo alcuni settori, quelli composti principalmente da aziende medie e grandi, le uniche che da una presunta crescita trainata dall’esportazione trarranno sicuramente vantaggio. Naturalmente, il fatto che nel nostro paese l’occupazione sia concentrata nelle piccole e piccolissime imprese non lascia presagire nulla di buono.

Proprio in merito alle ripercussioni che i trattati di libero scambio potrebbero avere sui livelli occupazionali, c’è da dire che nessuno crede più all’assunto iniziale secondo il quale questi avrebbero portato milioni di nuovi posti di lavoro. Un recente studio commissionato dal ministero dell’Economia della Germania, ha dimostrato che l’incremento occupazionale riferito al solo Ttip si attesterebbe su circa 150.000 unità in Europa e 60.000 negli Usa.

Una stima che tuttavia, a leggerla tra le pieghe, concede davvero poco spazio all’ottimismo
. La ricerca tedesca infatti descrive nelle sue conclusioni un quadro, nell’ambito specifico dell’Unione, fatto di poche luci e molte ombre, con tutta la parte meridionale del continente – Italia in testa – che nel computo finale presenterebbe, per via degli effetti della riduzione delle esportazioni verso i paesi europei più forti, un saldo negativo.