Si chiama Aemilia: è il più grande processo contro le mafie mai svolto nel Nord Italia, il risultato di un’importante inchiesta – partita nel 2013 – che ha messo in luce il forte radicamento assunto negli utimi 20 anni in Emilia Romagna dall’organizzazione ’ndranghetista che fa capo alla famiglia Grande Aracri, con robusti insediamenti tra le province di Reggio Emilia e Modena e con importanti diramazioni a Parma, Piacenza e Bologna. La fase delle udienze preliminari, che si è aperta ufficialmente lo scorso 28 ottobre, si sta avviando alla conclusione (dovrebbe terminare il prossimo mese di gennaio), mentre la parte dibattimentale dovrebbe prendere il via, salvo imprevisti, entro la metà del 2016.

“Non ci aspettavamo una tale dimensione del fenomeno nella nostra regione – spiega Vincenzo Colla, segretario generale della Cgil Emilia Romagna, che, assieme a Cisl e Uil regionali e alle Camere del lavoro di Modena e Reggio Emilia, è stata ammessa al processo come parte lesa –. Oggi, sulla base di ciò che è emerso dagli atti processuali, dobbiamo purtroppo dire che la mafia in Emilia Romagna c’è, e con modalità di intervento molto particolari: addirittura la magistratura l’ha definita la mafia imprenditrice, perché è emerso un legame molto forte con i titolari di aziende del territorio, che rappresenta un vero e proprio salto di qualità rispetto alle più tradizionali strategie adottate altrove dalla criminalità organizzata”.

Rassegna  Come funzionava questo particolare legame tra imprenditoria e mafia?

Colla  Il legame si esplicava in particolare nelle acquisizioni delle concessioni e nelle aggiudicazioni degli appalti, sia privati – con il corollario di attività finalizzate al riciclaggio di denaro di provenienza illecita – che pubblici, con le conseguenti operazioni nel campo della subfornitura. Oltre a questo tipo di legame, ce ne era un altro che aveva assunto forme particolarmente preoccupanti con l’irrompere della crisi economica e con le prime difficoltà degli imprenditori, costretti in molti casi – anche a seguito di minacce ed estorsioni – a ricorrere alla facile e immediata liquidità delle cosche, quando non alla contaminazione e all’infiltrazione societaria, tendenti alla lunga a condizionare le scelte e gli indirizzi dell’attività aziendale.

Rassegna  È la prima volta che i sindacati sono riconosciuti parte lesa in un processo di mafia nel Nord del paese.

Colla  Sì, è la prima volta, ma molto probabilmente non si tratterà nemmeno dell’ultima. Il lavoro è un punto centrale, e non certo da oggi, nelle dinamiche di infiltrazione delle mafie nell’economia legale. È dunque logico, oltre che importante, che il giudice abbia voluto concedere in questo processo il diritto di partecipare come parte lesa al mondo del lavoro e alle sue rappresentanze organizzate. Se c’è una cosa che l’indagine ha messo chiaramente in evidenza, oltre alla capacità delle associazioni criminali di penetrare interi comparti economici, è proprio l’insieme di atti, in particolare dell’organizzazione ’ndranghetista, finalizzati allo stravolgimento delle regole del mercato del lavoro e alla lesione dei diritti dei lavoratori.

Rassegna  A tuo giudizio, può fare scuola per altri processi contro le infiltrazioni mafiose l’ordinanza con cui il Giudice dell’udienza preliminare ha disposto l’ammissione della costituzione di parte civile dei sindacati?

Colla  Me lo auguro, perché in quell’ordinanza c’è un passaggio che trovo particolarmente interessante, laddove si indicano i sindacati come parti lese non solamente per il danno materiale subìto, ma anche e soprattutto in relazione alla loro funzione sociale e costituzionale, alle ragioni indicate nei rispettivi atti costitutivi, in considerazione del ruolo storico svolto (leggi il testo dell’ordinanza). Un dispositivo che andrebbe consegnato ai rappresentanti del governo nazionale, da tempo convinti sostenitori della marginalità, se non addirittura dell’inutilità, delle organizzazioni dei lavoratori.

Rassegna  Qual è stato in questi anni in Emilia Romagna il ruolo dei sindacati nelle attività di contrasto al malaffare e all’illegalità?

Colla  I protocolli per la legalità, e in particolare quello relativo alla ricostruzione post terremoto del 2012, ci hanno permesso di intraprendere un’azione contrattuale nei territori e nei luoghi di lavoro in grado di fronteggiare la criminalità organizzata. Le segnalazioni alle autorità preposte e la concreta collaborazione con le istituzioni hanno rappresentato e rappresentano cardini fondamentali della nostra azione, in particolare contro il mancato riconoscimento dei diritti di lavoratrici e lavoratori.

Rassegna  Una tendenza, quella della penetrazione della criminalità organizzata nell’economia legale, che nel nostro paese annovera precedenti inquietanti …

Colla 
 Da Portella della Ginestra in poi, la storia d’Italia sta a testimoniare quanto forte sia l’intreccio tra la volontà di radicamento della criminalità organizzata e l’attacco ai diritti, alle libertà e alle condizioni del lavoro. Per questo ritengo incomprensibile la decisione del ministero guidato da Giuliano Poletti di non costituirsi parte civile al processo, al contrario dei suoi colleghi titolari degli Interni e dell’Ambiente e della stessa Agenzia delle entrate. Una disattenzione che non mi so spiegare in un giudizio di questa portata, dove sul banco degli imputati è finita una parte, nemmeno tanto secondaria, dell’imprenditoria regionale. Una lacuna che spero si possa colmare nella fase del dibattimento.

Rassegna  Siamo in grado di quantificare il numero delle imprese coinvolte nel processo?

Colla  Negli atti sono citate – oltre a 240 singoli imputati – diverse decine di aziende, presenti soprattutto nei settori dell’edilizia e dei trasporti, circa la metà delle quali però in qualità di vittima o in quanto a conoscenza dei fatti. Un numero comunque cospicuo, che testimonia con assoluta evidenza la capacità dimostrata dalla criminalità organizzata di penetrare nel territorio della nostra regione, trasferendo e inserendo nella società i cosiddetti “colletti bianchi”, ma nel contempo distinguendosi anche in attività di traffico e smaltimento illecito di rifiuti, di estorsione e usura, di traffico e spaccio di sostanze stupefacenti.

Rassegna  Possiamo dire che il processo Aemilia riveste nella lotta contro la criminalità organizzata un’importanza quasi senza precedenti?

Colla  Sì, e per più ragioni. La prima risiede, come ovvio, nell’esigenza di far luce appieno sulla reale entità delle infiltrazioni malavitose nel tessuto economico e sociale dell’Emilia Romagna. Non possiamo dimenticare che, negli anni, ci sono stati anche qui lavoratori che hanno subìto minacce e forzature su stipendi e cassa integrazione. Quelle imprese, purtroppo, hanno fatto in modo che si allontanassero dalla regione le realtà produttive più serie, quelle che pagano le tasse e che, per fortuna, sono in maggioranza. Ma non solo: le cose emerse in questo processo metteranno anche noi nella condizione di valutare a fondo i cambiamenti realmente intervenuti, consentendoci così di recuperare il controllo democratico del territorio. Che per un’organizzazione come la nostra significa riprendere un’idea di relazioni traguardata esclusivamente alla crescita e allo sviluppo, che ci permetta per il futuro di creare quegli anticorpi in grado di impedire che certi fenomeni si ripetano. Un processo, infine, che dovrà servire per sollecitare una reazione a livello istituzionale, finalizzata a realizzare un nuovo testo unico sugli appalti.