La contrattazione integrativa di secondo livello riguarda ancora solo il 21,2% delle imprese con almeno dieci dipendenti, mentre il contratto nazionale continua a coprire l’88,4% del totale delle retribuzioni di fatto”. È quanto emerge da uno studio elaborato, su dati Istat, dalla Fondazione Di Vittorio, sulla contrattazione integrativa e le retribuzioni nel settore privato. “Il ccnl – per la fondazione della Cgil – si conferma dunque elemento insostituibile di autorità salariale, sia per quantità di applicazione nelle imprese che per percentuale di copertura retributiva”.

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La ricerca dimostra inoltre come la diffusione del secondo livello di contrattazione sia ovviamente maggiore nelle realtà aziendali più grandi e minore in quelle più piccole: nelle rimprese con almeno 500 dipendenti è pari al 69,1% (di cui 3,6% territoriale); in quelle comprese tra 200 e 499 dipendenti scende al 60,5% (di cui 3,9% territoriale); nelle imprese fra 50 e 199 addetti, si passa al 38,5% (di cui 6,6% territoriale); in quelle fra 10 e 49 dipendenti, si scende fino al 17,5% (con una quota di territoriale all’8,7%).

L’indagine evidenzia anche un forte divario territoriale, che penalizza il Mezzogiorno. “La percentuale di imprese con almeno dieci dipendenti coperte dalla contrattazione collettiva integrativa per ripartizione geografica – si legge nello studio – dimostra che si passa dal 26,8% del Nord-Est al 23,5% del Nord-Ovest, al 19,8% del Centro, al 13,1% delle Isole, per finire all’11,6% del Sud”. Dalla ricerca della Fondazione Di Vittorio emerge anche un altro elemento fondamentale: “Il contratto collettivo nazionale di lavoro è applicato nel 99,4% delle imprese e ha coperto, nel 2015, l’88,4% del totale delle retribuzioni di fatto. Percentuale che sale addirittura al 93,5% per gli operai”.

La ricerca condotta dalla Fondazione Di Vittorio rende giustizia di tanti luoghi comuni, secondo i quali la moderna contrattazione dovrebbe derubricare la funzione del contratto nazionale a vantaggio di quella più strettamente aziendale”. Con queste parole Franco Martini, segretario confederale della Cgil, commenta i risultati dello studio. Per Il dirigente sindacale, “il sindacato non ha mai negato la necessità di implementare il secondo livello di contrattazione, perché più vicino alle peculiarità delle aziende e dei territori, ma da tempo andiamo ripetendo che questa condizione riguarda una stretta minoranza delle imprese, appunto poco più del 20%”.

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Senza una funzione centrale del contratto collettivo nazionale – sottolinea Martini – il mondo del lavoro sarebbe spaccato in due, con una minoranza in grado di avere tutele anche avanzate è una grande maggioranza in condizioni marginali. Per questo Cgil, Cisl e Uil unitariamente hanno avanzato una proposta di riforma del modello contrattuale fondata sulla centralità del ccnl e sullo sviluppo di un secondo livello contrattuale, sia aziendale che territoriale. E al tempo stesso sostengono le categorie impegnate nel rinnovo dei contratti scaduti da molti anni”.

Un’ulteriore conferma, a giudizio del segretario confederale della Cgil, del ruolo importante del contratto nazionale. “Il ritardo dei rinnovi – conclude Martini – ha posto il valore del salario orario nel nostro Paese, ai livelli più bassi dell’intera Europa, con evidenti conseguenze negative nel rilancio della domanda interna. Il tema dei rinnovi contrattuali è questione strategica per il rilancio dell'economia, come la stessa ricerca conferma”.