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Ci vuole una “politica industriale per il settore auto, c’è la necessità di mettere insieme una visione per definire i nostri obiettivi”, occorrono quindi “strumenti, tavoli di confronto e una cabina di regia”. Con queste parole la segretaria generale della Fiom Cgil Francesca Re David, intervenendo al convegno “Mobilità Auto, il futuro è adesso. Il posizionamento competitivo del gruppo Fca”, ha denunciato il “grande buco” della politica, della programmazione e dell’intervento pubblico nell’industria, in particolare nel settore dell’automobile.
“L’auto – ha spiegato Re David – è strategica, è un bene di consumo di massa di un certo valore. Quello che accade nel settore è fondamentale per capire cosa succederà nel nostro paese”. Ma nei cambiamenti in corso, sostiene la dirigente Fiom, “essere leader significa anche determinare le procedure, il modello ambientale e quello di produzione, significa avere un ruolo e non subire le scelte degli altri”. Non a caso “tutte le tecnologie che usiamo nascono da investimenti pubblici legati all’auto e al militare, che poi hanno fatto da traino a investimenti privati”. Per questo, secondo Re David, “è una follia che non ci sia un tavolo pubblico sull’automobile, e che il governo non abbia un ruolo e non dia un indirizzo sul modello di sviluppo e sulle tecnologie”.
“Il grande tema che abbiamo di fronte” è dunque quello di introdurre “elementi di regolazione e programmazione, bandi di gara con determinati vincoli, forme controllo sul sistema degli appalti legati alla produzione industriale”. Ma, prosegue Re David, “ogni volta che facciamo presente questa esigenza ai tanti tavoli di crisi aperti, ci guardano come se dicessimo cose fuori dal mondo”.
La Fiom è convinta che bisogna ripartire da un’idea collettiva, pubblica, e, a proposito di strumenti, quello “principale non può che essere la Cassa depositi e prestiti”, che deve intervenire e “fare da volano anche per gli investimenti privati, riportando l’industria a essere un’asse portante del sistema italiano”.
Nella grande crisi di trasformazione dell’industria italiana tutti gli interventi, invece, non fanno che “insistere sul costo del lavoro – ha ricordato la segretaria generale della Fiom –, indeboliscono gli ammortizzatori sociali, abbandonano i lavoratori, creano sempre di più un senso di povertà e di solitudine. L’attacco alla soggettività collettiva del lavoro è evidente”. Invece di avanzare proposte sulla riduzione dell’orario legata all’abbassamento del salario (e delle pensioni future), “bisognerebbe difendere il lavoro, legarlo alla formazione, ragionare diversamente sul rapporto tra produttività e orari, bisognerebbe insomma tornare a fare politica industriale in questo paese, invece stiamo dando via tutto”, ha detto Re David.
Negli stabilimenti italiani di Fca - ricorda la segretaria - “c’è la cassa integrazione, non c’è salto tecnologico, non c’è innovazione e non c’è ricerca: questa è la situazione”. “Non abbiamo una visione di quello che succederà, si parla di spezzatino ma quali sono le scelte strategiche di Fca, che è canadese ma è nata in Italia con grandi investimenti pubblici? Non si sa. E non sappiamo nulla sull’elettrico di Fca”. Anche “per questo stanno riprendendo gli scioperi, ad esempio a Pomigliano, perché le persone non accettano più di essere ‘deportate’ da uno stabilimento all’altro, di essere solo una funzione della produzione e della finanza del Gruppo italo-canadese”. “Rispetto ai processi in corso in Fca c’è quindi un problema di relazioni sindacali, di ruoli”, perché – ricorda Re David – “nelle crisi industriali e nei salti tecnologici si ridisegnano sempre i rapporti di potere, le relazioni tra capitale e lavoro, tra sindacato e azienda”, come accadde alla Fiat nella crisi del 1980 che estromise dalla fabbrica le rappresentanze: “E poi, in Fiat, i delegati sindacali li abbiamo rivisti solo nel 1993”.